Qualche precisazione in merito all’articolo “Non sottraeteci quel Corpo. Lasciateci celebrare la Messa di Pasqua” di Davide Rondoni apparso su questo sito e per il quale abbiamo ricevuto qualche lettera dai lettori (alcune indignate, alcune a favore). Ma non vorremmo qui alimentare un dibattito di cui ci importa poco, così come della querelle tra Fiorello e Salvini, di cui ci importa ancor meno (quindi, solo tra parentesi: al simpatico ma un po’ luterano Fiorello faremmo notare che una chiesa non è un bagno e a Salvini rivolgeremmo il celebre consiglio di Talleyrand: «Surtout, pas trop de zèle»).
È ormai un mese che il picco del virus è domani. Cioè, più passa il tempo, più ci si rende conto che questa cosa infinitamente piccola è infinitamente più forte di noi, almeno per ora. Tutti si spera di uscirne il più in fretta possibile ma, al momento, dobbiamo socraticamente constatare che sappiamo di non sapere (i virologi, che spesso hanno opinioni molto diverse tra loro, almeno su questo concordano). E, infatti, con giusta cautela, abbiamo preso l’unica decisione che ci pareva sensata di fronte a ciò che non conosciamo: l’autosegregazione, soprattutto per preservare la salute dei più deboli. Nulla da eccepire su questo.
Intanto, però, la vita va avanti e immaginare come poter svolgere alcune attività non deve essere un argomento tabù. L’inazione non è una risposta né sul piano materiale né su quello spirituale. Finora si è insistito molto su ciò che “non si può fare”; forse è il caso adesso di iniziare a chiedersi invece “cosa” e “come” si può fare. È un problema che riguarda le chiese e le fabbriche, preti e operai, vescovi e mangiapreti: continuare a dire “no” a tutto, non provare nemmeno a immaginare soluzioni – le più possibili condivise, con tutti gli accorgimenti sanitari immaginabili – è così balzano? Bisogna fidarsi dell’ingegno umano che, anche nelle situazioni più complesse, è sempre stato capace di trovare soluzioni. Tra l’altro, è una cosa che vediamo in atto già in questi giorni: negli ospedali, nei supermercati, nelle scuole… Si tratta di usare lo stesso ingegno anziché solo in “negativo” (come mi difendo?) anche in “positivo” (cosa si può fare? come?).
La lettera di Rondoni aveva dunque questo spirito, unito alla fervente consapevolezza che per un cattolico la celebrazione comunitaria della Pasqua, il ricevere la comunione quel giorno, non è qualcosa di meno essenziale del respirare l’aria. Tra l’altro, quella di Rondoni era la «supplica di un peccatore», mica un dpcm, che solleva un problema reale e sentito da molti.
Quindi, per le Messe e per le fabbriche la domanda è la stessa: perché anziché continuare a ripetere che non si può, autoconsolandoci col mantra dell’andràtuttobene mentre invecevatuttomale e qualcuno già non ha la minestra nel piatto alla sera, non iniziamo a domandarci come si possa fare? Non diciamo che sia possibile, chiediamo se almeno non sia il caso di porsi la domanda e avanzare soluzioni praticabili. Finora, non ci ha provato ancora nessuno.
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