Pubblichiamo l’editoriale contenuto nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Perché ci piace Stefano Parisi lo abbiamo scritto più volte durante la campagna elettorale milanese. Perché ci piace la sua proposta per «dare una mano» a un centrodestra bisognoso di rigenerazione risulta evidente anche solo mettendone in fila i capisaldi, esposti in due interviste alla Stampa e al Foglio.
Parisi è contro i banalismi come la rottamazione («non aver fatto niente» non è un merito, è ottuso giovanilismo), è contro la «replica in salse diverse della retorica del Cinquestelle» (antipolitica), è contro le élite che «chiamano populismo tutto quello che esce dalla volontà popolare». È un atlantista convinto (viva l’America e viva Israele). Rifiuta l’approccio semplificato della sinistra all’immigrazione perché è «ipocrisia» dire che «l’unico tema è l’accoglienza».
Vuole più Europa, rigorosa sulla finanza pubblica, ma non ridotta a burocrazia e ideologia. Ama la libertà economica e per questo mette fra le priorità la riforma della pubblica amministrazione. Pretende una giustizia rapida, equa e non politicizzata. Immagina un centrodestra con e non post Berlusconi. Ragiona da perfetto moderato anche sul referendum del prossimo autunno. Rigettando la personalizzazione del voto imposta dal premier. Dicendo no alla riforma Renzi-Boschi perché «è falso dire che faciliterà il processo decisionale, sarà il contrario».
Aggiungendo però anche un sì a mettere mano alla nostra Carta «che ovviamente non è la più bella del mondo». Perché infine questa bozza di rivoluzione liberale, gradita a quanto pare a Berlusconi, abbia invece infastidito tanti esponenti dello schieramento, possiamo immaginarlo, ma dobbiamo augurarci che entro la convention di settembre promessa da Parisi la politica abbia la meglio sul calcolo di potere.
Foto Ansa