Chi ha ucciso Boris Nemtsov? La realtà una volta di più supera l’immaginazione, i romanzi di spie e i thriller di fantapolitica sbiadiscono di fronte a ciò che è accaduto per davvero: un oppositore politico di alto profilo del potere semi-autoritario vigente ucciso sotto le mura del Cremlino, nel pieno di una crisi internazionale che oppone la Russia alla Nato in una guerra di bassa intensità per procura che assomiglia ogni giorno di più a una temeraria zuffa sull’orlo di un vulcano. Perché è accaduto? Cui prodest? Queste ultime due sono le tipiche domande accessorie della prima, quella riguardante la responsabilità dell’omicidio. Antiamericani e filoamericani, adulatori e odiatori di Vladimir Putin sono certi di sapere com’è andata, se non nei dettagli perlomeno nelle linee generali. Chi ritiene che i riflessi criminali del potere putiniano siano dimostrati e automatici, già un secondo dopo la notizia ha accusato del delitto il presidente e uomo forte della Russia; chi da sempre è convinto che l’imperialismo e il capitalismo finanziario neoliberale, di cui la Nato è il braccio armato, siano capaci di qualunque nefandezza, si dice certo che si tratta di una provocazione per tentare di destabilizzare un altrimenti solido fronte interno del potere russo.
Visto che allo stato attuale dei fatti nessuno è in grado di individuare e svelare la verità, proviamo a esaminare un ventaglio di ipotesi il più possibile ampio, e a valutare i pro e i contro riguardo alla loro credibilità.
La prima ipotesi è quella che fa risalire direttamente alle stanze del potere moscovita la responsabilità dell’agguato che ha messo fine alla vita dell’ex vice primo ministro. Il movente dell’omicidio in questo caso sarebbe l’annunciata presentazione in pubblico di “prove” dell’ingerenza militare russa in Ucraina da parte di Nemtsov. Questa ricostruzione è stata evocata dal presidente ucraino Poroshenko in persona, che ha parlato con l’oppositore russo poco prima della sua uccisione e sostiene che stava per fare rivelazioni clamorose. Questa tesi ha molti punti deboli. Che la Russia stia sostenendo i ribelli del Donbass con uomini e mezzi, che sul suolo ucraino stiano operando anche soldati della Federazione Russa, è un segreto di Pulcinella. In qualunque momento i servizi di sicurezza di un paese della Nato potrebbero esibire prove inconfutabili di questo fatto. Se ancora non è successo, è solo per ragioni di opportunità politica, per lasciare spazio alle soluzioni diplomatiche e, probabilmente, per non provocare una controescalation di rivelazioni: anche Mosca può dimostrare che uomini e mezzi di paesi dell’Alleanza atlantica stanno rinforzando le esangui forze armate ucraine. Comunque sia, uccidere Nemtsov per mettere a tacere la sua voce in procinto di rivelare la presenza militare russa in terra ucraina non avrebbe alcun senso: decine di fonti diverse potrebbero, in qualunque momento, venire fuori con le stesse rivelazioni.
In secondo luogo, Putin in questo momento non ha nulla da temere da parte degli oppositori interni, tanto meno da un ex vice primo ministro in piena parabola discendente: i tassi di consenso all’operato dell’uomo forte di Mosca sono i più alti di tutto il suo ventennio di potere, superiori all’80 per cento. Nessuno degli attuali oppositori rappresenta un’alternativa credibile al sistema creato da Putin. Al contrario, l’uccisione di Nemtsov ha risvegliato l’opposizione assopita: alla marcia di commemorazione del leader assassinato hanno probabilmente partecipato più persone di quante sarebbero scese in piazza per la manifestazione dell’opposizione programmata per l’1 marzo. Nemtsov ucciso a colpi di arma da fuoco sotto le mura del Cremlino diventa una bandiera attorno alla quale raccogliere le opposizioni divise e sparse, un martire per rianimare la causa di chi si batte contro il governo attuale.
L’omicidio di Nemtsov potrebbe essere legato alla questione della presenza militare russa in Ucraina solo in un caso: se si suppone che l’uomo politico avesse ottenuto i suoi documenti in un modo compromettente per gli alti gradi dell’esercito. In questo caso si può immaginare che ambienti militari timorosi di essere accusati di fughe di notizie o di mancato controllo dei subordinati, di incompetenza o di negligenza, e quindi di essere puniti come capri espiatori del clamore mediatico causato dalla denuncia dell’oppositore, abbiano cercato di proteggersi uccidendo l’uomo che avrebbe innescato lo scandalo.
Uno scenario nel quale una responsabilità diretta del circolo di governo nel delitto apparirebbe plausibile c’è: se Nemtsov avesse frequentato un po’ troppo le ambasciate straniere, non tanto quella ucraina quanto quelle dei paesi della Nato, nelle settimane precedenti l’attentato, questa potrebbe essere la giustificazione per un “omicidio di Stato”. Il messaggio sarebbe chiaro: gli stranieri non devono azzardarsi a complottare contro il governo russo intrecciando relazioni con esponenti dell’opposizione interna. Sarebbe insomma una risposta preventiva durissima a quella che il potere russo intenderebbe come un’”operazione Maidan bis”: un movimento popolare anti-Putin teleguidato dall’esterno, attraverso la cooptazione e il rafforzamento degli oppositori già esistenti.
Un’altra ipotesi è che l’omicidio sia maturato in ambienti politici ultranazionalisti, che vedevano in Nemtsov un traditore perché criticava come illegittimo il referendum che aveva consegnato la Crimea alla Russia. In tal caso l’assassinio sarebbe pensato come un atto ostile alle correnti russe filo-occidentali, ma anche dannoso per il governo in carica: gli oppositori democratici sono stati intimiditi, il potere di Putin è stato incrinato da quello che il commentatore Kirill Martynov su Novaya Gazeta ha definito «il più importante atto di terrore politico della moderna storia russa, (…) destinato a diventare il simbolo del paese che abbiamo costruito negli ultimi 15 anni». Effettivamente Putin esce diminuito, sia all’interno che a livello internazionale, da questo delitto. Chi ha ucciso l’ex vice primo ministro non voleva fare un piacere al presidente russo, di fatto gli ha creato una difficoltà.
Un altro scenario possibile è quello dell’eccesso di zelo da parte di funzionari di regime, sfociato in un delitto Matteotti o delitto Popieluszko in salsa russa: come nel caso del parlamentare italiano al tempo del fascismo e del sacerdote polacco al tempo della dittatura del generale Jaruzelsky, l’uccisione dell’oppositore non sarebbe il risultato di un ordine dall’alto, ma di un’iniziativa dal basso di agenti del sistema convinti della bontà della propria azione e di poter trarre benefici personali da essa. Se questa è la sostanza dei fatti, le cose andranno in modo molto diverso da ciò che gli autori dell’agguato si aspettano: una volta scoperti, saranno condannati dalle stesse istanze del regime che immaginavano di servire, come accadde agli assassini di Matteotti e di Popieluszko (anche se i primi ebbero al tempo una condanna piuttosto lieve e i secondi beneficiarono successivamente di un’amnistia).
Un’altra ipotesi, forse la più gettonata, è che l’uccisione di Nemtsov sia semplicemente il risultato del clima di odio contro chi non approva l’annessione della Crimea e il sostegno ai separatisti del Donbass che nell’ultimo anno è cresciuto in Russia, anche a motivo di una propaganda governativa martellante. L’ipotesi è credibile, ma bisogna anche dire che questi odiatori sono apparsi molto efficienti, professionalmente capaci di uccidere. In questo caso i responsabili andrebbero probabilmente ricercati nei ranghi ordinari dell’esercito, fra i soldati che hanno avuto commilitoni o parenti fra i civili che sono stati vittime del conflitto ucraino.
L’ultimo scenario da esaminare è quello denunciato da Putin all’indomani del delitto: una provocazione volta a destabilizzare la Russia, ovvero il suo governo. In linea di principio questa ipotesi è credibile. Siccome le sanzioni economiche non hanno dissuaso la Russia dal cessare di sostenere i ribelli dell’Ucraina orientale e siccome un intervento armato occidentale al fianco del governo di Kiev contro i secessionisti non è fattibile per molte ragioni, non resta che concentrarsi sulla destabilizzazione interna e sull’intimidazione della leadership russa. Un delitto politico di alto profilo sotto le mura del Cremlino, destinato a seminare lo sconcerto nella popolazione russa, rianimare l’opposizione, appannare l’immagine di Putin come uomo che ha sotto controllo tutto il paese e a generare esecrazione universale è una risposta decisamente efficace all’assertività russa in Ucraina e altrove. Più che alla Cia o ad altri enti della sicurezza Usa viene da pensare al Mi-6 britannico. David Cameron e la stampa anglosassone si sono particolarmente distinti negli ultimi mesi per la richiesta di misure sempre più dure contro la Russia, senza escludere il sostegno militare, in varie forme, a Kiev. Conta certamente lo storico riflesso geopolitico britannico che si attiva ogni qual volta Londra abbia il sentore che qualcuno sul continente stia proponendosi come potenza egemonica. E non c’è dubbio che un’ipersensibilità connessa al diminuito status internazionale del Regno Unito fa vedere una minaccia egemonica sull’Europa continentale là dove oggettivamente non c’è (la Russia di Putin non è paragonabile né alla Francia di Napoleone, né alla Germania di Hitler, né all’Unione Sovietica). Ma c’è anche una questione di temperamento. Putin ha pensato di reagire alle sanzioni economiche europee mandando i suoi caccia a svolazzare sui cieli dei paesi della Nato a scopo intimidatorio. Ha cominciato con lo spazio aereo dei paesi baltici, per poi passare a quello dei paesi scandinavi, quindi alla fine di gennaio ha mandato i suoi Mig a sfrecciare niente meno che sulla Manica. Gesto sconsiderato, conoscendo il carattere degli inglesi. I quali hanno un grosso sasso nella scarpa che prima o poi vorranno togliersi: l’uccisione di un cittadino regolarmente residente sul suolo britannico presumibilmente da parte dei servizi segreti russi. Solo agenti organici allo Stato potevano disporre del polonio utilizzato per avvelenare l’ex agente del Kgb Aleksandr Litvinenko, morto a Londra nel novembre 2006. In linea teorica non si può escludere che le potenze occidentali, attraverso principalmente i britannici, vogliano far sapere a Putin che sono capaci anche loro di giocare sporco e di portare la minaccia fin nel cuore del potere russo, e che l’impraticabilità di un intervento armato euroatlantico in Ucraina non significa che qualunque iniziativa e provocazione di Mosca non possa provocare ritorsioni importanti.
Infine naturalmente ci sono le ipotesi legate alla vita privata di Nemtsov. Ma queste le lasciamo a un altro genere di testate giornalistiche.
Foto Nemtsov da Shutterstock