Spalato (Croazia). «La Croazia deve entrare presto e bene nell’Unione Europea. La prospettiva dell’integrazione europea è il contributo più importante che possiamo offrire ai paesi della ex Jugoslavia per il loro sviluppo pacifico e democratico», scandisce il vicepresidente del Parlamento europeo Mario Mauro. «La Reuters ha riportato male le mie parole», si accalora il tedesco Hans-Gert Poettering, presidente del gruppo del Partito popolare europeo (Ppe) all’europarlamento. «Non ho mai detto che l’accesso della Croazia alla Ue è in dubbio, ho detto che senza un nuovo trattato costituzionale europeo tutto il processo di allargamento è in difficoltà. Il gruppo del Ppe ed io personalmente siamo strenui sostenitori dell’ingresso della Croazia nella Ue». «Se la prospettiva dell’adesione non resta intatta al cento per cento, i negoziatori si troveranno in difficoltà. Lo sviluppo dei rapporti fra Croazia e Ue è sotto gli occhi degli altri paesi balcanici: osservano e ne trarranno le dovute conclusioni», ammonisce l’austriaco Franz Fischler, per dieci anni commissario europeo all’agricoltura e da poco più di un anno consigliere del primo ministro croato Ivo Sanader per i negoziati di accesso alla Ue. C’è un senso di urgenza nelle parole degli esponenti del Ppe alla riunione a Spalato del loro gruppo all’europarlamento che non si spiega soltanto con la deferenza verso il paese ospitante. E i moniti a ripetizione sull’esigenza di accelerare i tempi dell’ingresso croato nella Ue sono quelli di chi vuol fare tesoro delle lezioni della storia: «Nello spazio geografico che si trova fra l’Italia e la Romania» spiega Mauro «si danno solo due possibilità: che diventi il luogo di un altro incendio devastante, oppure il luogo dove la prospettiva europea diventa realtà». Non è un eccesso di enfasi retorica: la diagnosi sbaglia semmai per difetto, perché il ritorno di fiamma dei conflitti balcanici è un’eventualità del presente piuttosto che del futuro.
IL “SALAME” SERBO
L’Europa preoccupata per la catena di crisi che si snoda fra Israele, Palestina, Irak ed Iran, e che destina le sue ultime riserve di idealismo a vagheggiare un partenariato fra Europa e Mediterraneo arabo che fa tanto politicamente corretto, non s’è accorta di un dettaglio: il 2006 è l’anno decisivo per i destini della ex Jugoslavia, dove la differenza fra successo e insuccesso è la stessa che si dà fra la vita e la morte.
Il 21 maggio in Montenegro, repubblica federata con la Serbia, si svolge un referendum che determinerà il distacco dalla federazione e la nascita di un nuovo stato balcanico se il 55 per cento dei votanti si dichiarerà favorevole all’indipendenza. Alcuni leader indipendentisti, come il ministro degli esteri montenegrino Miodrag Vlahovic, hanno dichiarato che la cifra del 55 per cento è frutto di un ricatto da parte della Ue, e che l’indipendenza sarà proclamata anche se dovesse vincere per un solo voto. Nel frattempo sono iniziati i negoziati fra la Serbia e i leader kosovari, con la mediazione dell’ex presidente finlandese Martti Ahtisaari come rappresentante dell’Onu, sullo “status definitivo” del Kosovo. Tutta la comunità internazionale è orientata a riconoscere la piena indipendenza della regione, ancora formalmente appartenente alla Serbia, alla quale in cambio viene offerto l’impegno di Onu ed Europa per la protezione della minoranza serba in Kosovo (scesa al 5 per cento della popolazione) e degli storici monasteri ortodossi là presenti. Ai negoziati di Vienna la delegazione di Belgrado ha chiesto che il numero delle municipalità autonome serbe sia portato da 3 a 15: le è stato rifiutato. Come pensate che si sveglieranno l’indomani di una vittoria independentista al referendum montenegrino gli 8 milioni di serbi che vivono nei vari paesi della ex Jugoslavia? La Serbia diventerebbe il “salame dei Balcani”, del quale si taglia una fetta ogni volta che vien fame: oggi il Montenegro, domani il Kosovo, dopodomani la Vojvodina, regione a maggioranza serba, ma scontenta dell’autonomia persa dopo l’avvento di Milosevic e mai più ritrovata, che comincerebbe a coltivare cattivi pensieri.
GRAVI DIFFICOLTA’ BOSNIACHE
«In Europa nessuno sembra preoccupato, ma i paesi vicini della Serbia sono molto allarmati», dichiara l’europarlamentare di FI Guido Podestà, responsabile del Ppe per i rapporti con la Romania. «Il presidente rumeno Traian Badescu mi ha confidato il suo timore che la secessione montenegrina riapra la ferita bosniaca, perché i serbi reagirebbero alle amputazioni territoriali tornando a vagheggiare una grande Serbia che comprenda almeno i territori della repubblica serba di Bosnia». Assolutamente verosimile. La Bosnia Erzegovina attuale, in forza degli accordi di pace di Dayton (1995), è costituita da una pseudo-federazione fra una repubblica serba e un’entità croato-bosniaca a maggioranza musulmana. Le due componenti agiscono come Stati separati, e i pochi passi avanti reali sulla strada di una vera organizzazione federale sono stati compiuti per i diktat dell’Alto rappresentante, una sorta di governatore internazionale della Bosnia che è anche rappresentante della Ue nel paese. La Bosnia ha avviato i negoziati con la Ue per l’accordo di stabilizzazione e associazione, che è il primo passo per la candidatura all’ingresso nell’Unione. Ma i problemi sono enormi: non si può procedere verso l’integrazione con la Ue senza rimettere in discussione la costituzione basata sugli accordi di Dayton. I croati di Bosnia hanno già domandato di staccarsi dai musulmani e di poter creare un’entità federale a sé stante. Naturalmente serbi e musulmani hanno già detto di no.
A questo proposito da Spalato non arrivano notizie molto confortanti: Ivo Sanader, intervenuto alla prima giornata di lavori della riunione del Ppe insieme a molti ministri del suo governo, ha assicurato che la Croazia è favorevole all’adesione alla Ue di tutti gli altri paesi dell’ex Jugoslavia nessuno escluso, ma sulla Bosnia ha detto: «Se alle tre nazionalità presenti in quel paese non saranno riconosciuti uguali diritti, la Bosnia avrà problemi gravi». A tutto questo aggiungete che la Ue ha sospeso i negoziati con la Serbia causa la mancata cattura del generale Mladic e di altri cinque criminali di guerra ricercati dal Tribunale internazionale dell’Aja, e vi renderete conto di quanto poco idilliaco sia il quadro generale.
CENERENTOLE E MONOLOCALI
Si capisce allora perché è tanto importante che l’ingresso della Croazia nella Ue avvenga in tempi certi, fissando magari una data che potrebbe essere quella del 2009: sì, la Croazia è uno strano paese dove il fratello di Vuk Draskovic, il ministro degli esteri della Serbia, può diventare uno dei più importanti imprenditori del posto, mentre ai portatori di passaporto italiano non è concesso di comprare nemmeno un monolocale; ma soltanto il successo del fidanzamento fra Croazia e Ue può far desistere le altre cenerentole balcaniche dai loro cupi disegni dimostrando che un matrimonio felice è alla loro portata. A noi euroscettici pare quasi impossibile, ma l’unica arma con cui l’Europa può impedire le probabili future guerre balcaniche si chiama integrazione nella Ue.