La Russia del dopo-Eltsin ricadrà nelle mani del vecchio Kgb? La domanda non è la trama di un film di di fanta-politica o di un libro di Tom Clancy, ma l’incognita che in questi mesi agita gli analisti dei servizi d’informazione occidentali. I segnali di questa preoccupazione tracimano nei siti di intelligence di Internet e nei dossier che si accumulano sui tavoli delle cancellerie occidentali.
Riscrivere la Perestrojka…
Tutti questi dossier partono da una tesi di fondo comune: per capire dove va la Russia – e chi sono gli uomini che la governeranno dopo le elezioni parlamentari del 19 dicembre prossimo e quelle presidenziali del luglio 2000 – bisogna fare un salto indietro. Un salto fino agli inizi della Perestrojka e della glasnost. Quelle che furono interpretate come l’inizio della liberazione dell’Urss dal comunismo furono in verità, dicono oggi gli analisti dei servizi segreti occidentali, le due parti della più colossale e ambiziosa operazione segreta messa in piedi dal Kgb di Yuri Andropov. “Si trattò – scrive uno dei dossier sull’argomento – di un ben calcolato tentativo dell’apparato di sicurezza rivolto a colmare il gap tecnologico dell’ Urss nei confronti dell’Occidente utilizzando gli investimenti stranieri e permettere la sopravvivenza del Comunismo”. L’obbiettivo finale non venne raggiunto, ma la prima parte dell’operazione venne portata a termine. Tra quelli che vi giocarono ruoli di primo piano vi sono uomini come l’ex premier Serghei Primakov e l’attuale Vladimir Putin, ieri fedelissimi di Andropov.
…cominciando da Breznev Ma per capire meglio il tutto bisogna ritornare agli inizi degli anni ’80 e alla fine dell’era Breznev. L’Urss ha già imboccato la via del collasso. La burocrazia di partito ha ormai perso il controllo di un’economia che sprofonda verso il baratro. Lo stesso Pcus, annichilito e sclerotizzato, è incapace di esprimere strategie e politiche efficaci. L’unica istituzione che ancora funziona è il Kgb di Andropov. Nelle stanze dei servizi segreti circola una certezza: la guerra fredda sta per concludersi con una secca disfatta, l’Occidente, infatti, grazie alle proprie tecnologie sta sovrastando l’Urss sia in campo civile che militare. I vertici del Kgb iniziano a studiare un colossale piano che assumerà il nome di “perestrojka” in campo economico e di “glasnost” in campo politico. L’obbiettivo primario è uno solo: attirare investimenti stranieri e attraverso di essi avere accesso alle nuove tecnologie occidentali. L’operazione perestrojka – secondo gli studi degli esperti di intelligence occidentali – viene avviata agli inizi del 1984 da un gruppo ristretto di membri del Politburo e di ufficiali del Primo Direttorato del Kgb.
Kgb in joint-venture Nel 1986 la macchina è in piena attività. Gli ufficiali del Kgb hanno già messo in piedi la nuova struttura economica dell’Urss aprendo banche, compagnie di import-export e finanziarie basate all’estero . Per incoraggiare gli investitori occidentali vengono architettate colossali finzioni finanziarie. I proventi delle vendite di materie prime vengono riciclati all’estero, fatti rientrare in Urss e spacciati come capitali freschi di origine occidentale, attirati dalle opportunità offerte dalla cosiddetta “glasnost”. Lo specchietto per le allodole funziona. Tra l’89 e il 90 mentre la stampa occidentale plaude alla perestrojka gli ufficiali del Kgb del Quinto Direttorato diventano partner delle principali operazioni di joint-venture con l’Occidente. Perestrojka e glasnost non riusciranno a salvare l’Urss (che si disintegra nel 91), ma garantiranno al Kgb il controllo di tutti gli investimenti finanziari e, soprattutto, la sopravvivenza delle ex strutture dei servizi sotto forma di ragnatela politico-economica.
L’oro di Mosca (e l’attivissimo Putin) Nel 92, con Eltsin già al potere, gli agenti del Quinto Direttorato si ritrovano ad essere presenti nell’80 per cento delle compagnie a capitale misto. Ma di gran lunga più importante è quello che, è avvenuto nei due anni precedenti. Resisi conto di non poter salvare la nave che affonda gli uomini del Kgb utilizzano le proprie “residenze” estere e le compagnie di cui sono partner per mettere al sicuro le ricchezze dell’Urss e garantirsene il futuro controllo.
Tra il 1989 e il 1991 il Primo Direttorato traghetta all’estero 60 tonnellate di oro, 150 di argento, 8 di platino e una somma che oscilla tra i 15 e i 50 milioni di dollari in valuta estera. Per nascondere questa immensa fortuna, sottratta alle casse del partito in decomposizione, i responsabili dei servizi segreti creano a Mosca un centinaio tra banche e compagnie commerciali. Il reticolo fa capo a circa 600 altri centri finanziari aperti all’estero e nel resto della Russia. Uno di questi è la Fimaco ( Financial Management Company Ltd), con sede nel paradiso fiscale del Jersey, fondata nel novembre del 1990 da Eurobank, succursale parigina della Banca Centrale Sovietica. Nelle casse della Fimaco svanisce un miliardo di dollari di prestito ottenuto dagli stati arabi dall’allora membro del Politburo ed ex membro del Kgb Evghenij Primakov.
Attivissimo in questo periodo sembra essere, in base ad alcuni dossier occidentali, anche l’attuale primo ministro russo Vladimir Putin. Entrato nel 1975 a soli 23 anni nel Primo direttorato del Kgb Putin è alla fine degli anni 80 uno degli uomini di punta del Kgb nella Germania Orientale. La sua specialità è il controllo delle attività economiche e sotto i suoi occhi passano tutti i trasferimenti di capitale che negli anni della perestrojka si muovono sull’asse Bonn-Mosca-Bonn. Ma Putin è anche incaricato di coordinare le attività del Kgb con quelle del Gru (il servizio d’informazioni dell’Armata Rossa). Un ruolo che oggi, a più di dieci anni di distanza, gli garantisce il pieno appoggio dei vertici delle forze armate russe.
Appendice italiana Una parte delle risorse traghettate all’estero dagli uomini del Primo Direttorato del Kgb transita per l’Italia. Il ruolo di passaggio del nostro paese viene accennato anche nell’inchiesta della commissione parlamentare russa Ponomarev-Surkov che, nei primi mesi dell’epoca Eltsin, indaga sulla sottrazione di risorse dai forzieri sovietici. Secondo alcuni le paure di Armando Cossutta, che agli inizi degli anni 90 teme per la propria vita e deposita un memorandum presso un notaio, potrebbero essere legate proprio alle attività di riciclaggio ed esportazione di valuta attuate dal Kgb. Di certo l’Italia ha un ruolo preciso. Le prove vengono individuate anche dallo storico e giornalista Valerio Riva. Nel saggio “L’oro di Mosca” Riva rievoca la convocazione “per questioni urgenti e gravissime “di D’Alema al Quirinale dell’ottobre 1991. “Abbiamo saputo – avrebbe detto l’allora presidente Francesco Cossiga all’attuale presidente del Consiglio – che voi siete coinvolti nell’esportazione clandestina di valuta”. Riva ricostruisce così quell’incontro. “D’Alema sulle prime nega, naturalmente, ma è costretto ad ammettere: è vero, abbiamo ricevuto la proposta, qualcuno dei nostri ha avuto un attimo di esitazione, ma l’abbiamo respinta.” Valerio Riva ripropone anche i passi di un’intervista sull’argomento rilasciata dal responsabile dell’amministrazione del Pds Marcello Stefanini e dal suo vice Vincenzo Marini Recchia a Panorama. “Il titolare di una società di import-export da tempo in affari con l’Urss (banche dati e, in generale, informatica) ha avvicinato un iscritto al Pds, suo conoscente. Voleva che ai dirigenti di Botteghe Oscure giungesse un messaggio “delicato”: la richiesta a nome di “certi sovietici” di trasferire in occidente, attraverso un vecchio conto bancario del Pci a Mosca, un’ingente somma: “Migliaia di miliardi di lire italiane”.
L‘affare Krucina Parte di quei soldi, il dieci per cento, sarebbe stata destinata al Pci” In giro però si dice, nota Riva, che si trattasse esattamente di sedicimila miliardi. Al Pci sarebbe dunque toccata “una provvigione” di milleseicento miliardi.” Valerio Riva fa notare come Cossiga abbia detto di aver ricevuto l’informazione sul tentato riciclaggio italiano dal governo dell’epoca. Il governo dell’epoca è presieduto da Giulio Andreotti. E, guarda caso lo scorso 8 novembre, in occasione della presentazione romana del libro “L’Oro di Mosca” il senatore affronta, in puntuale coincidenza con le preoccupazioni dei servizi segreti occidentali e con l’emergere dei dossier sui siti di Internet, la questione dell’ “oro di Mosca scomparso”. “Cifre consistenti, appartenenti al cosiddetto tesoro del partito comunista sovietico, – afferma in quell’occasione Andreotti, – potrebbero essere a disposizione di una sorta di Pcus clandestino. Un pericolo non solo per i paesi terzi, ma anche per la Russia.” Qui l’accenno ai rischi di un ritorno del vecchio Kgb ai vertici della Russia (alle elezioni della Duma) è fin troppo chiara. Ancor più chiara è l’allusione ai canali di transito italiani. “Nel 1990-91 – afferma il senatore a vita – so che i russi cercarono il tesoro del Pcus. Sembra che questo sia transitato anche per l’Italia, e dico sembra, usando una finzione linguistica; pare si trattasse di somme ingenti che oggi potrebbero esser utilizzate per operazioni nostalgiche, per far rivivere cose che ufficialmente sono morte”. Ma qual’è il tramite per gli spostamenti in Italia dei capitali manovrati dal Kgb. Valerio Riva tra pagina 567 e 575 della sua monumentale ricerca la individua con sufficiente chiarezza nella società Europa Consult costituita l’11 luglio 1989 a Roma e nel cui consiglio d’Amministrazione figura quel Vincenzo Marini Recchia che assieme a Stefanini controlla l’amministrazione del Pds di D’Alema. Secondo quanto ricostruito da Riva, il 9 aprile 1990 Marini Recchia è a dialogo a Mosca con il direttore amministrativo del Comitato Centrale del Pcus Nikolaj Krucina. Krucina è anche l’autore di una nota segreta, stilata il 23 agosto 1990, indirizzata alla segreteria del Pcus e denominata “Misure urgenti per l’organizzazione delle attività commerciali del partito all’interno e all’estero” . In quella nota si gettano le basi per la costituzione di una ragnatela economico-finanziaria semi-clandestina. Si suggerisce, ad esempio, di “procedere immediatamente alla preparazione di proposte sull’utilizzazione delle società anonime in grado di mascherare i loro contatti diretti con il Pcus per svolgere, all’interno del paese e all’estero, attività commerciali ed economiche del partito”. E, guarda caso è proprio Krucina ad offrire a Marini Recchia l’apertura di una sede moscovita per l’Europa Consult. Ma quel che insospettisce di più è la storia di questa effimera società che dopo un crescendo finanziario radioso tra l’estate del 90 e il 91, immediatamente dopo il colpo di stato di Mosca e la presa del potere di Eltsin, appassisce e praticamente sparisce dal mercato.
Ritorno a Mosca L’influenza degli ex uomini del Kgb di Yuri Andropov sembra attenuarsi durante l’era Eltsin quando di fatto si realizza la grande svendita dell’economia russa. I giovani e rapaci ex-burocrati, inseriti dallo stesso Kgb alla guida delle aziende finanziate con i soldi della perestrojka e della glasnost, fiutano il momento favorevole e si liberano dal controllo dei loro mentori. Attraverso l’alleanza politica con Eltsin puntano ora a dividersi i patrimoni dell’ex Urss. La divisione delle fette più gosse della torta avviene sotto la guida di Anatoly Chubais, considerato un “riformatore” e responsabile delle privatizzazioni. Nel dicembre 95 un gruppo di banchieri – a capo dei più importanti e ricchi istituti privati aperti sotto la regia del Kgb – fa man bassa, d’accordo con Chubais, di una serie di obbligazioni emesse per finanziare le più grosse aziende di stato. Tra di esse i bocconi più prelibati sono alcune compagnie petrolifere come la Yukos, la Sibneft e la Sidanko. Non potendo lo stato russo ripagare le obbligazioni le industrie passano in breve nelle mani di una decina di banchieri. Da quel momento questo gruppetto di abili speculatori si ritrova a controllare il 50 per cento dell’economia russa. Questi stessi “oligarchi” finanziano, nel 1996, la rielezione di Eltsin. Alcuni di loro, come Boris Berezovsky e Vladimir Potanin, ottengono in cambio posti di governo. E’ l’epoca dei “cleptocrati” caratterizzata da una faida all’ultimo sangue tra gli oligarchi per spartirsi le ultime risorse dello stato russo. In questa lotta, fatta di reciproche rivelazioni di scandali economici attraverso i giornali controllati, si consuma il disastro economico della Russia e la finale delegittimazione del potere moscovota.
Eltsin “normalizzato”
Nel 1998 Eltsin per garantirsi l’appoggio della Duma, dominata dai comunisti, è costretto a offrire la carica di primo ministro all’ex-uomo del Kgb Evgenij Primakov. E qui inizia la riscossa dei vecchi uomini della perestrojka. Sotto la guida di Primakov riemergono dal passato gli ex uomini dell’apparato sovietico. Yuri Maslyukov uno degli ultimi responsabili del Gosplan (l’apparato sovietico incaricato della pianificazione economica) diventa vice primo ministro. La guerra agli “oligarchi” diventa la priorità politica. Primakov da carta bianca al procuratore generale Yuri Skuratov e gli fornisce, grazie ai suoi uomini presenti nei servizi segreti, voluminosi dossier sull’attività di personaggi come Berezovsky e Smolensky. Un’operazione assolutamente facile per un uomo che ha contribuito a creare le strutture finanziare di cui gli “oligarchi” si sono successivamente impadroniti. E non a caso uno dei primi scandali ad emergere è quello della Fimaco, seguito a ruota da quello dell’Aeroflot (caduta sotto il controllo di Berezovsky) e infine quello della Mabetex. Il siluramento di Primakov e la sua sostituzione con Sergei Stephasin non basta a salvare gli uomini di Eltsin.
Scoop occidentali e l’avvento di Putin La vecchia guardia del Kgb comunista riemersa dal passato utilizza i vecchi metodi e opera a tutto campo. Mentre gli uomini di Eltsin cercano di bloccare le inchieste del procuratore Skuratov i dossier vengono fatti trapelare all’estero dagli uomini dei servizi segreti fedeli a Primakov e si materializzano sulle prime pagine dei giornali occidentali. E qui siamo ormai ai giorni nostri. L’influenza della vecchia guardia e le sue alleanze con i vertici militari diventano chiare non soltanto nel campo economico, ma anche in quello politico e internazionale. La Russia riprende la vendita di armi alla Siria e all’Iraq e sostiene il programma di sviluppo nucleare iraniano. Il ritorno alle antiche posizioni anti-occidentali diventa evidente durante la guerra per il Kosovo e, soprattutto, al suo epilogo quando una colonna di blindati russi ingaggia un serrato confronto con la Nato per il controllo dell’aeroporto di Pristina. Chi ha dato l’ordine di avanzare sul capoluogo kosovaro? Eltsin nega, e probabilmente dice la verità, di saperne alcunché. L’episodio, che avviene sotto la regia del capo di stato maggiore Anatoly Kvashin, è il primo segnale di quell’alleanza tra vecchia guardia del Kgb e apparato militare. Il siluramento di Stephasin e la sua sostituzione con Vladimir Putin, al profilarsi della crisi in Daghestan e Cecenia, ne rappresentano la definitiva consacrazione.
già messo in piedi la nuova struttura economica dell’Urss aprendo banche, compagnie di import-export e finanziarie basate all’estero. Per incoraggiare gli investitori occidentali vengono architettate colossali finzioni finanziarie. I proventi delle vendite di materie prime vengono riciclati all’estero, fatti rientrare in Urss e spacciati come capitali freschi di origine occidentale, attirati dalle opportunità offerte dalla cosiddetta “glasnost”. Lo specchietto per le allodole funziona. Tra l’89 e il ’90 mentre la stampa occidentale plaude alla perestrojka, gli ufficiali del Kgb del Quinto Direttorato diventano partner delle principali operazioni di joint-venture con l’Occidente. Perestrojka e glasnost non riusciranno a salvare l’Urss (che si disintegra nel ’91), ma garantiranno al Kgb il controllo di tutti gli investimenti finanziari e, soprattutto, la sopravvivenza delle ex strutture dei servizi sotto forma di ragnatela politico-economica.
L’oro di Mosca (e l’attivissimo Putin) Nel ’92, con Eltsin già al potere, gli agenti del Quinto Direttorato si ritrovano ad essere presenti nell’80 per cento delle compagnie a capitale misto. Ma di gran lunga più importante è quello che è avvenuto nei due anni precedenti. Resisi conto di non poter salvare la nave che affonda, gli uomini del Kgb utilizzano le proprie “residenze” estere e le compagnie di cui sono partner per mettere al sicuro le ricchezze dell’Urss e garantirsene il futuro controllo.
Tra il 1989 e il 1991 il Primo Direttorato traghetta all’estero 60 tonnellate di oro, 150 di argento, 8 di platino e una somma che oscilla tra i 15 e i 50 milioni di dollari in valuta estera. Per nascondere questa immensa fortuna, sottratta alle casse del partito in decomposizione, i responsabili dei servizi segreti creano a Mosca un centinaio tra banche e compagnie commerciali. Il reticolo fa capo a circa 600 altri centri finanziari aperti all’estero e nel resto della Russia. Uno di questi è la Fimaco (Financial Management Company Ltd), con sede nel paradiso fiscale del l’isola di Jersey, fondata nel novembre del 1990 da Eurobank, succursale parigina della Banca Centrale Sovietica. Nelle casse della Fimaco svanisce un miliardo di dollari di prestito ottenuto dagli stati arabi dall’allora membro del Politburo ed ex membro del Kgb Evghenij Primakov.
Attivissimo in questo periodo sembra essere, in base ad alcuni dossier occidentali, anche l’attuale primo ministro russo Vladimir Putin. Entrato nel 1975 a soli 23 anni nel Primo direttorato del Kgb Putin è alla fine degli anni ’80 uno degli uomini di punta del Kgb nella Germania Orientale. La sua specialità è il controllo delle attività economiche e sotto i suoi occhi passano tutti i trasferimenti di capitale che negli anni della perestrojka si muovono sull’asse Bonn-Mosca-Bonn. Ma Putin è anche incaricato di coordinare le attività del Kgb con quelle del Gru (il servizio d’informazioni dell’Armata Rossa). Un ruolo che oggi, a più di dieci anni di distanza, gli garantisce il pieno appoggio dei vertici delle forze armate russe.
Appendice italiana Una parte delle risorse traghettate all’estero dagli uomini del Primo Direttorato del Kgb transita per l’Italia. Il ruolo di passaggio del nostro paese viene accennato anche nell’inchiesta della commissione parlamentare russa Ponomarev-Surkov che, nei primi mesi dell’epoca Eltsin, indaga sulla sottrazione di risorse dai forzieri sovietici. Secondo alcuni le paure di Armando Cossutta, che agli inizi degli anni ’90 teme per la propria vita e deposita un memorandum presso un notaio, potrebbero essere legate proprio alle attività di riciclaggio ed esportazione di valuta attuate dal Kgb.
Di certo l’Italia ha un ruolo preciso. Le prove vengono individuate anche dallo storico e giornalista Valerio Riva. Nel saggio “L’oro di Mosca” Riva rievoca la convocazione “per questioni urgenti e gravissime “di D’Alema al Quirinale dell’ottobre 1991. “Abbiamo saputo – avrebbe detto l’allora presidente Francesco Cossiga all’attuale presidente del Consiglio – che voi siete coinvolti nell’esportazione clandestina di valuta”. Riva ricostruisce così quell’incontro. “D’Alema sulle prime nega, naturalmente, ma è costretto ad ammettere: è vero, abbiamo ricevuto la proposta, qualcuno dei nostri ha avuto un attimo di esitazione, ma l’abbiamo respinta.” Valerio Riva ripropone anche i passi di un’intervista sull’argomento rilasciata dal responsabile dell’amministrazione del Pds Marcello Stefanini e dal suo vice Vincenzo Marini Recchia a Panorama. “Il titolare di una società di import-export da tempo in affari con l’Urss (banche dati e, in generale, informatica) ha avvicinato un iscritto al Pds, suo conoscente. Voleva che ai dirigenti di Botteghe Oscure giungesse un messaggio “delicato”: la richiesta a nome di “certi sovietici” di trasferire in Occidente, attraverso un vecchio conto bancario del Pci a Mosca, un’ingente somma: “Migliaia di miliardi di lire italiane”.
L‘affare Krucina Parte di quei soldi, il dieci per cento, sarebbe stata destinata al Pci” In giro però si dice, nota Riva, che si trattasse esattamente di sedicimila miliardi. Al Pci sarebbe dunque toccata “una provvigione” di milleseicento miliardi.” Valerio Riva fa notare come Cossiga abbia detto di aver ricevuto l’informazione sul tentato riciclaggio italiano dal governo dell’epoca. Il governo dell’epoca è presieduto da Giulio Andreotti.
E, guarda caso lo scorso 8 novembre, in occasione della presentazione romana del libro “L’Oro di Mosca” il senatore affronta, in puntuale coincidenza con le preoccupazioni dei servizi segreti occidentali e con l’emergere dei dossier sui siti di Internet, la questione dell’ “oro di Mosca scomparso”. “Cifre consistenti, appartenenti al cosiddetto tesoro del partito comunista sovietico, – afferma in quell’occasione Andreotti, – potrebbero essere a disposizione di una sorta di Pcus clandestino. Un pericolo non solo per i paesi terzi, ma anche per la Russia.” Qui l’accenno ai rischi di un ritorno del vecchio Kgb ai vertici della Russia (alle elezioni della Duma) è fin troppo chiara. Ancor più chiara è l’allusione ai canali di transito italiani. “Nel 1990-91 – afferma il senatore a vita – so che i russi cercarono il tesoro del Pcus. Sembra che questo sia transitato anche per l’Italia, e dico sembra, usando una finzione linguistica; pare si trattasse di somme ingenti che oggi potrebbero esser utilizzate per operazioni nostalgiche, per far rivivere cose che ufficialmente sono morte”. Ma qual’è il tramite per gli spostamenti in Italia dei capitali manovrati dal Kgb. Valerio Riva tra pagina 567 e 575 della sua monumentale ricerca la individua con sufficiente chiarezza nella società Europa Consult costituita l’11 luglio 1989 a Roma e nel cui consiglio d’Amministrazione figura quel Vincenzo Marini Recchia che assieme a Stefanini controlla l’amministrazione del Pds di D’Alema. Secondo quanto ricostruito da Riva, il 9 aprile 1990 Marini Recchia è a dialogo a Mosca con il direttore amministrativo del Comitato Centrale del Pcus Nikolaj Krucina. Krucina è anche l’autore di una nota segreta, stilata il 23 agosto 1990, indirizzata alla segreteria del Pcus e denominata “Misure urgenti per l’organizzazione delle attività commerciali del partito all’interno e all’estero” . In quella nota si gettano le basi per la costituzione di una ragnatela economico-finanziaria semi-clandestina.
Si suggerisce, ad esempio, di “procedere immediatamente alla preparazione di proposte sull’utilizzazione delle società anonime in grado di mascherare i loro contatti diretti con il Pcus per svolgere, all’interno del paese e all’estero, attività commerciali ed economiche del partito”. E, guarda caso è proprio Krucina ad offrire a Marini Recchia l’apertura di una sede moscovita per l’Europa Consult. Ma quel che insospettisce di più è la storia di questa effimera società che dopo un crescendo finanziario radioso tra l’estate del 90 e il 91, immediatamente dopo il colpo di stato di Mosca e la presa del potere di Eltsin, appassisce e praticamente sparisce dal mercato.
Ritorno a Mosca L’influenza degli ex uomini del Kgb di Yuri Andropov sembra attenuarsi durante l’era Eltsin quando di fatto si realizza la grande svendita dell’economia russa. I giovani e rapaci ex-burocrati, inseriti dallo stesso Kgb alla guida delle aziende finanziate con i soldi della perestrojka e della glasnost, fiutano il momento favorevole e si liberano dal controllo dei loro mentori. Attraverso l’alleanza politica con Eltsin puntano ora a dividersi i patrimoni dell’ex Urss. La divisione delle fette più gosse della torta avviene sotto la guida di Anatoly Chubais, considerato un “riformatore” e responsabile delle privatizzazioni. Nel dicembre 95 un gruppo di banchieri – a capo dei più importanti e ricchi istituti privati aperti sotto la regia del Kgb – fa man bassa, d’accordo con Chubais, di una serie di obbligazioni emesse per finanziare le più grosse aziende di stato.
Tra di esse i bocconi più prelibati sono alcune compagnie petrolifere come la Yukos, la Sibneft e la Sidanko. Non potendo lo stato russo ripagare le obbligazioni le industrie passano in breve nelle mani di una decina di banchieri. Da quel momento questo gruppetto di abili speculatori si ritrova a controllare il 50 per cento dell’economia russa. Questi stessi “oligarchi” finanziano, nel 1996, la rielezione di Eltsin. Alcuni di loro, come Boris Berezovsky e Vladimir Potanin, ottengono in cambio posti di governo. E’ l’epoca dei “cleptocrati” caratterizzata da una faida all’ultimo sangue tra gli oligarchi per spartirsi le ultime risorse dello stato russo. In questa lotta, fatta di reciproche rivelazioni di scandali economici attraverso i giornali controllati, si consuma il disastro economico della Russia e la finale delegittimazione del potere moscovota.
Eltsin “normalizzato”
Nel 1998 Eltsin per garantirsi l’appoggio della Duma, dominata dai comunisti, è costretto a offrire la carica di primo ministro all’ex-uomo del Kgb Evgenij Primakov. E qui inizia la riscossa dei vecchi uomini della perestrojka. Sotto la guida di Primakov riemergono dal passato gli ex uomini dell’apparato sovietico. Yuri Maslyukov uno degli ultimi responsabili del Gosplan (l’apparato sovietico incaricato della pianificazione economica) diventa vice primo ministro. La guerra agli “oligarchi” diventa la priorità politica. Primakov da carta bianca al procuratore generale Yuri Skuratov e gli fornisce, grazie ai suoi uomini presenti nei servizi segreti, voluminosi dossier sull’attività di personaggi come Berezovsky e Smolensky. Un’operazione assolutamente facile per un uomo che ha contribuito a creare le strutture finanziare di cui gli “oligarchi” si sono successivamente impadroniti. E non a caso uno dei primi scandali ad emergere è quello della Fimaco, seguito a ruota da quello dell’Aeroflot (caduta sotto il controllo di Berezovsky) e infine quello della Mabetex. Il siluramento di Primakov e la sua sostituzione con Sergei Stephasin non basta a salvare gli uomini di Eltsin.
Scoop occidentali e l’avvento di Putin La vecchia guardia del Kgb comunista riemersa dal passato utilizza i vecchi metodi e opera a tutto campo. Mentre gli uomini di Eltsin cercano di bloccare le inchieste del procuratore Skuratov i dossier vengono fatti trapelare all’estero dagli uomini dei servizi segreti fedeli a Primakov e si materializzano sulle prime pagine dei giornali occidentali. E qui siamo ormai ai giorni nostri. L’influenza della vecchia guardia e le sue alleanze con i vertici militari diventano chiare non soltanto nel campo economico, ma anche in quello politico e internazionale. La Russia riprende la vendita di armi alla Siria e all’Iraq e sostiene il programma di sviluppo nucleare iraniano. Il ritorno alle antiche posizioni anti-occidentali diventa evidente durante la guerra per il Kosovo e, soprattutto, al suo epilogo quando una colonna di blindati russi ingaggia un serrato confronto con la Nato per il controllo dell’aeroporto di Pristina. Chi ha dato l’ordine di avanzare sul capoluogo kosovaro? Eltsin nega, e probabilmente dice la verità, di saperne alcunché. L’episodio, che avviene sotto la regia del capo di stato maggiore Anatoly Kvashin, è il primo segnale di quell’alleanza tra vecchia guardia del Kgb e apparato militare. Il siluramento di Stephasin e la sua sostituzione con Vladimir Putin, al profilarsi della crisi in Daghestan e Cecenia, ne rappresentano la definitiva consacrazione.