Tentar (un giudizio) non nuoce
C’è “un’altra Cina” tutta da scoprire
In questi tempi in cui la possibilità di continuare ad avere relazioni ordinarie con la Cina rappresenta un grande interrogativo, alla luce del paventato rischio di invasione di Taiwan, alla guerra commerciale con gli Stati Uniti e alle difficoltà interne, così rese evidenti dalla pandemia, esiste “un’altra Cina” a cui possiamo guardare e verso la quale possono volgere lo sguardo le nostre imprese per le loro attività di promozione sui mercati esteri o anche per rilocalizzarsi in questa aerea del mondo? Esiste una realtà che anche dal punto di vista politico e diplomatico abbia interlocutori adeguati con cui continuare a dialogare con la parte, in questa fase storica, più produttiva e di maggior sviluppo del mondo intero?
La risposta è sì. È l’area Asean, un’area di libero scambio che ricorda un po’ la Comunità Economica Europea, fondata nel 1967 e composta da dieci Stati membri (Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia, Vietnam). Si tratta della più importante organizzazione intergovernativa del Sud-Est asiatico che facilita l’integrazione e la cooperazione regionali, promuovendo la pace e la sicurezza, il benessere economico e lo sviluppo umano. All’interno convivono Paesi già avviati verso lo sviluppo sociale ed imprenditoriale, ma anche realtà più povere come il Laos, la Cambogia e Myanmar.
L’area Asean
In questi giorni sono impegnato in una missione con la Regione Lombardia, assieme al Presidente Attilio Fontana, proprio in questa parte del mondo. In particolare, in Thailandia, dove c’è stato un forum di dialogo di alto livello con tutti gli esponenti di questi Paesi e poi in Vietnam, che forse in questo momento rappresenta l’economia più dinamica all’interno di tutta l’area Asean. Abbiamo avuto incontri con soggetti del mondo economico, imprenditoriale e politico di primissimo livello, incluso il Primo Ministro vietnamita.
Sono rimasto colpito dal cambiamento che questi Paesi hanno innescato. L’immagine che abbiamo, troppo spesso, di questa parte del mondo, è ancorata a vecchi ricordi, soprattutto per il Vietnam. La cinematografia americana, negli anni, ci ha offerto una visione della guerra, che è rimasta ferma nel tempo. In realtà, soprattutto nelle grandi città, il territorio è lanciato verso un vivacissimo sviluppo che negli ultimi anni ha fatto crescere l’economia fino a tassi del 10-15 per cento annuo e che quest’anno si preoccupa perché avrà un rallentamento che limiterà la crescita intorno ad un 4-5 per cento.
Modello occidentale
Ciò che mi ha destato stupore è come in questi Paesi sia diverso lo scenario politico. In Thailandia ci sono stati, negli ultimi decenni, colpi di stato militari ogni sei/sette, anni, ma questo, di fatto, non ha scalfito né la monarchia, né l’orientamento prevalente della linea di governo, né tantomeno l’economia di mercato e lo sviluppo economico.
In Vietnam c’è un regime comunista, come in Cina, che governa e decide con il Partito unico, ma che dal 1986 con il Doi Moi (Nuovo Corso), ha avviato un programma economico di rinnovamento finalizzato alla graduale transizione all’economia di mercato.
Nonostante queste differenze politiche, ciò che mi ha fatto riflettere è l’adesione di questi Paesi al modello occidentale, in particolare a quello statunitense. In pratica gli Usa, meno di cinquanta anni fa, hanno perso una guerra disastrosa in Vietnam ma sono riusciti a “vincere” la pace, attraverso i propri modelli economici e culturali, affermandosi come riferimento anche per le nuove generazioni. Gli Stati Uniti oggi sono molto più amati della Cina. L’orizzonte inseguito dai giovani è assolutamente dentro un modello culturale capitalistico.
Il mito del successo
Queste riflessioni sono certamente significative ma rendono anche evidente che nei Paesi dove manca una prospettiva di contenuto più etico, che abbia un afflato più legato a beni e valori che diano senso compiuto all’esistenza, alla fine rimane solo il mito del successo economico e della carriera personale. Un mito che può diventare una condanna, anche per la pressione che impone: mentre eravamo a Bangkok un ragazzo di 14 anni, figlio di due professori universitari, non reggendo tale pressione ha imbracciato un’arma e ucciso e ferito persone innocenti in un centro commerciale.
Il punto più debole di questi Paesi, che stanno sperimentando uno sviluppo vorticoso ma che talvolta sembra fondato su basi fragili, mi sembra sia proprio a questo livello: cresce la ricchezza, ma questo inesorabilmente sembra non bastare, perché da solo non riempie il cuore dell’uomo. A conferma, una volta di più, che lo sviluppo economico deve andare di pari passo con la crescita della persona e della società, altrimenti inevitabilmente distribuisce diseguaglianze sociali (quante se ne vedono in Asia) e prospettive incerte per il futuro.
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