«Non ci fermiamo e non ci fermeremo», urlano i lavoratori in corteo, dipendenti dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto, sequestrato dalla magistratura per inquinamento ambientale. Sono circa 12 mila gli operai che rischiano il posto di lavoro. Dopo che il ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha illustrato il protocollo d’intesa (sottoscritto il 26 luglio tra il ministero dell’Ambiente, il ministero dello Sviluppo economico, il ministero della Coesione territoriale, la Regione Puglia, la Provincia, il Comune di Taranto e il Commissario straordinario del porto di Taranto) per «il risanamento ambientale e il rilancio produttivo dell’area di Taranto» si è scatenato il panico. Lo stanziamento complessivo previsto dal protocollo, si precisa in una nota di Palazzo Chigi, è di 336.668.320 euro, di cui 329.468.000 di parte pubblica e 7.200.000 di parte privata. Gli obiettivi del protocollo «verranno realizzati nelle prossime settimane attraverso appositi accordi e sotto la guida di un Comitato di Sottoscrittori e di una cabina di regia coordinata e gestita dalla Regione Puglia’». Inoltre, la prossima settimana è prevista in aula al Senato un’informativa del governo. I sindacati sono sul piede di guerra e anche Raffaele Bonanni ha chiesto un intervento rapido del governo: «Se si lasciano senza lavoro operai che vivono di quello, tutto quel che gira attorno alla produzione salterà, non credo che l’ambiente migliorerà».
Il Gip di Taranto, Patrizia Todisco, ha scritto nel provvedimento di arresto che «l’imponente dispersione di sostanze nocive nell’ambiente, urbanizzato e non, ha cagionato e continua a cagionare un grave pericolo per la salute. Chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato tale attività inquinante con coscienza e volontà calpestando le più elementari regole di sicurezza». Piombo nelle urine, come ha rilevato una ricerca presentata ad Oxford dall’Arpa, oltre a cromo a livelli ben più elevati dei limiti fissati. I livelli di arsenico, cadmio, cromo e manganese sono stati confrontati con i valori presentati dalla Società italiana valori di riferimento (Sivr). Un’emergenza ambientale, sanitaria e occupazionale. Giuseppe Vignola, procuratore generale della corte di appello di Lecce, ha precisato che le accuse sono «di disastro ambientale doloso e colposo, getto e sversamento pericoloso di cose, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici. I morti determinati dagli inquinanti a Taranto, a Brindisi o a Lecce meritano rispetto. Lo stesso, ad esempio, della Thyssen, di Marghera, di Genova, i nostri non sono morti di serie B. Sono persone, operai e cittadini che hanno lo stesso diritto costituzionalmente garantito di vedersi tutelati una volta per tutte».
L’indagine non riguarda solo l’Ilva: si estenderà, ha detto Vignola, anche a Cementir, Agip, Eni e poi a Brindisi. Motivo? «Mentre di giorno si rispettavano le prescrizioni imposte, la notte ci si muoveva in maniera diversa», come testimonia la documentazione video raccolta. Possibile? «Era uno stabilimento molto obsoleto» commenta a tempi.it Paolo Togni, ex Capo di Gabinetto del Ministero dell’Ambiente. «È stato costruito negli anni Cinquanta, con tecnologie ben diverse da quelle che ci sono oggi. Ci sono stati vari passaggi, in seguito, ma stando alla decisione dei magistrati di Taranto non sono stati sufficienti. Va detto che tutta la zona, e non da oggi, è stata dichiarata sito di interesse nazionale, a causa dell’alto livello di inquinamento del suolo. Così come Porto Marghera, o l’area di Napoli Est. Sono 55 in tutto, secondo il Ministero». Meglio perdere il lavoro o la salute? «Non è tollerabile pensare di far prevalere il lavoro sulla salute. Ma bisogna muoversi con equilibrio e con una certa sapienza, fare progetti a lungo termine. Si tratta di attività molto complesse, che comportano studi, numerosi passaggi burocratici e soprattutto grandissima liquidità di risorse. Che al momento non abbiamo».