Alcuni scienziati, si sa, hanno dimostrato per via teorico-matematica che il calabrone non può volare. Il calabrone, anche questo è noto, non se ne preoccupa e vola. Analogamente molti sostengono che gratuità e sussidiarietà valgono solo all’interno di apposite riserve, e che non possono produrre risultati efficaci nella vita “reale”.
Il calabrone informatico
Come il calabrone, ormai da un decennio nel caotico cielo dell’informatica un pinguino, che non potrebbe, vola senza darsene pena. Il suo habitat? L’informatica. È un habitat molto importante, ormai: chi potrebbe concepire il proprio lavoro senza un computer? Ma se si guarda al software dalla parte della sua produzione altre caratteristiche attirano la nostra attenzione. In primis ogni prodotto è unico: il programmatore sta perciò di diritto in quella categoria che parte dall’apprendista e, passando per l’artigiano, arriva all’artista. In secundis, se si vogliono fare “cose” grosse la dimensione “sociale” dello sviluppo di software diventa fattore preponderante (già nel ‘75 Brooks osservò che il miglior modo per aumentare il ritardo di un progetto in ritardo era aumentargli le persone: il costo della comunicazione cresce molto più dei benefici dell’aggiunta di lavoratori). Da questo punto di vista fare software somiglia a tanti altri lavori postindustriali (tutti?): con l’automazione dell’automatizzabile, all’uomo è chiesto appunto di fare l’uomo (l’artista o l’artigiano) tra altri uomini.
Storia di un pinguino
La storia del pinguino inizia nel 1983 con una stampante ed un programmatore pigro. Il programmatore, che lavorava al MIT, voleva modificare il software di una stampante che era distante dal suo ufficio perché gli segnalasse quando mancava la carta. Sapeva farlo, gli bastava avere quel software in forma “sorgente”, cioè leggibile e modificabile. L’azienda costruttrice della stampante non ne volle sapere: dare i sorgenti voleva dire esporre del “capitale intellettuale” dell’azienda nelle mani di chiunque, magari un competitor! Stallman, il programmatore in questione, che non aveva nessuno scopo di lucro ma un interesse molto cogente, da ideologo incazzoso quale era per quest’ingiustizia si arrabbiò tanto da licenziarsi (!) per poter cominciare a scrivere un sistema operativo completo (qualcosa tipo Windows + Office) che tutti potessero usare e modificare gratuitamente e liberamente (secondo la doppia valenza del termine “free”), come è normale nel mondo accademico e di Internet (praticamente tutto il software che lo fa girare è stato sviluppato così). Attorno a Stallman si aggregò una certa massa di sviluppatori che iniziarono gratuitamente a sviluppare i “ferri del mestiere”: programmi per scrivere programmi (l’editor Emacs), programmi per fare capire alle macchine i programmi scritti in forma “umana” (il compilatore gcc), ecc. Per proteggere tali programmi “free” da possibili inclusioni in programmi “proprietari” si inventò anche un licenza d’uso, battezzata, con geniale gioco di parole, “Copyleft (all rights reVerSed)”.
Il ventenne e i soloni accademici
All’inizio degli anni ’90 al sistema operativo che Stallman intende relizzare manca una cosa sola, ma fondamentale: il “nucleo” (kernel), quella parte che si cura di tutto il lavoro nascosto che il computer compie a nostra insaputa (dialogo della tastiera con il processore, di questo con il disco fisso e lo schermo, etc). Svilupparlo non è lavoro da pivelli: è una parte chiamata in causa sempre e deve quindi essere efficiente e solida come una roccia (e come si sa le finestre sono mooolto meno solide della roccia;). Ironica-mente comincia a farlo proprio un pivello, il ventenne finlandese Linus Torvalds, che voleva collegarsi con il suo vecchio 386 alla rete della facoltà e, da lì, a Internet. Pivello ma genio, e con una gran dose di faccia tosta. Difende il suo sistemino dalle critiche dei soloni universitari del settore e il suo pinguino (Linux, che ha come suo simbolo proprio un pinguino rotondetto con la faccia beata da post-scorpacciata d’aringhe) comincia a diffondersi perché ha un certo vantaggio sugli analoghi fatti dai soloni: funziona, e funziona anche perché Linus non si è fatto infinocchiare dalle mode accademiche del tempo – doveva collegarsi a Internet, mica fare carriera universitaria, lui! Nel più classico stile “free software” gli utenti, oltre che ad usare Linux, cominciano a migliorarlo (impossibile farlo senza la disponibilità dei sorgenti) e a girare le modifiche a Torvalds che le integra in prodotti sempre più robusti ed efficienti.
Il genio di Linus?
Un pensiero di Papa Pio XI Qui si vede il genio del pivello anche dal punto di “sociale”: dovendo gestire un processo di sviluppo tutto volontario e fatto da molte persone di tutto il mondo lui, semplicemente, riscopre il principio di sussidiarietà, un secolo dopo Pio XI. Come dovrebbe fare un buon Stato ha progettato il nucleo (la “Legislazione”) in modo da lasciare la più ampia libertà a chi volesse contribuire, e si e mantenuto l’autorità di avere l’ultima parola su cosa accettare a favore del bene comune (nel suo caso, del sistema operativo). L’esito, dice lo stesso Linus, è che “La forza di Linux sta tanto nella comunità che ci coopera che nel prodotto stesso”: un esempio? Il supporto gratuito che ci si auto-fornisce attraverso Internet ha preso nel ‘97 il premio per il “Better Technical Support” da Infoworld. Che la sussidiarietà sia “simpatica” all'”Open Source Software” (OSS, come si è ribattezzato il “free software” per liberarlo dall’immagine ideologica lasciata da Stallman) si può vedere anche nel caso di PERL, il linguaggio usato praticamente su tutto il Web, compreso Yahoo, (che non usa Linux ma un altro prodotto OSS simile – FreeBSD). Per descrivere come ne coordina lo sviluppo il suo creatore Larry Wall cita come analogia la costruzione di un Campus in California. Per stabilire dove mettere i marciapiedi attraverso il parco, gli architetti hanno semplicemente piantato l’erba. Dopo un anno sono andati a vedere i percorsi fatti dalla gente e, al loro servizio, li hanno ricoperti con i marciapiedi.
Il marchio della qualità? Sussidiarietà
Ma il pinguino non è che l’esempio più noto di un fenomeno in netta espansione (l’OSS), di cui fanno parte prodotti come Apache e Sendmail (il web server e il programma di posta elettronica più diffusi al mondo), sempre più utilizzati e supportati da società come DELL, IBM, Oracle, SAP, Intel. Sono prodotti che hanno grande successo perché sono di ottima qualità; e anche questo è una conseguenza della sussidiarietà: gli utenti sono quelli che meglio sanno di cosa hanno bisogno (più degli strateghi – sociali o di mercato) e, se li si lascia fare, sono i più indicati a risolvere i loro problemi e a migliorare il sistema. Coordinati, come si è detto, da un’autorità riconosciuta. A vedere i casi di successo nell’OSS, quindi, sembrerebbe che in un contesto in cui un potere (manipolativo) non esiste, la creatività della persona sia la risorsa più preziosa e il suo volontario legarsi per il bene comune una conditio sine-qua-non; che i modelli vincenti abbiano forti elementi di quella che in linguaggio tecnico-cattolico chiameremmo “sussidiarietà”: vuoi vedere che oltre al calabrone gli scienziati, i politici e la mentalità comune hanno preso un altro granchio? Per concludere due osservazioni. La prima: che i prodotti Open Source siano spesso migliori di quelli commerciali non lo dice Stallman ma la Micro$oft in un suo documento interno, citando Linux come una “seria minaccia competitiva” al suo Windows NT. Secondo: con prodotti OSS si può realizzare gran parte del sistema informativo di un’azienda, e, per la parte Web/Intranet, praticamente tutto, ad un prezzo imbattibile (0!).
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