Suor Maria Carmela del Volto di Cristo va in città per una commessa, va di fretta, apre la porta del convento e ci sospinge dentro svelta svelta. «Prego, si accomodi». La riacciuffiamo mentre svicola, «scusi sorella, da quanto tempo è in convento»? «Dal 1956». Ma allora lei c’era… «Sì, c’ero – sorride Carmela, come la bambina di Halloween che fa toc toc, “dolcetto o scherzetto” – ma prego, vada in parlatorio». Idioma carcerario. “Parlatorio”. In effetti, quella del carmelo è una vita segregata, dove tutto gira al ritmo della regola. Nel caso, quella di santa Teresa D’Avila, solo un po’ alleggerita da un digiuno più parco (ma sono sempre quei begli otto mesi l’anno) e dalla sveglia alle 5.30 invece che alle 4.30. Dopo di che, il ruolino della monaca è il seguente: alle 6 orazione silenziosa, 7 lodi, Messa, recita dell’ora terza, studio fino alle 11.30. Quindi, ora sesta e poi pranzo in silenzio mentre una sorella legge brani biblici, documenti dell’ordine o del magistero della Chiesa. Segue ora di ricreazione (12.30-13.30) dove «si sta insieme, si parla, si lavora, si leggono giornali. E il quotidiano sempre». Finita la ricreazione, «spazio eremitico di letture spirituali perché la nostra preghiera abbia nutrimento», alle 15.15 recita dell’ora nona. Segue studio e dialogo comunitario. Alle 17.30 vespri. Poi, un’altra ora di orazione in silenzio. Cena alle 19 e ricreazione fino alle 20.30. «L’equilibrio tra orazione e ricreazione è voluto da santa Teresa. E questo – diceva la fondatrice – perché la preghiera trovi verifica nei rapporti fraterni. “Per disingannarci a vicenda”». Compieta alle 20.20 e alle 21.15, ufficio delle letture. Infine, “grande silenzio”. Cioè, non si parla fino al mattino seguente. E per le emergenze come fate? «Non è necessario infrangere il silenzio. Basta scambiarsi un biglietto».
Niente civetterie dietro la grata. Sebbene il convento sia stato al centro di uno storico scoop. Solo quattro anni dopo la nascita della televisione italiana, fu visitato niente meno che da Sergio Zavoli. Il mito fondativo della tv democratica. Giornalista, saggista, scrittore, affabulatore, inventore di grandi format televisivi, grande navigatore in Rai di cui è stato direttore e, infine, presidente della Commissione di vigilanza, senatore Ds-Pd, presidente di varie commissioni in Laticlavio. È lui, dicono le cronache, che «regalava al mondo radiofonico il suo più grande capolavoro», il 24 marzo 1958, introducendo un microfono e registrando proprio in questa clausura di via Siepelunga 51 a Bologna, una lunga intervista a “Sua Reverenza” la sottosuperiora e a tre sue consorelle. Mai visto. Era la pirma volta che succedeva in Italia. Tornando oggi in quel carmelo bolognese, la prima cosa che ti fanno capire le sue ospiti, pur senza dire una parola (se non, «troppo rumore») è: forget it. Lascia perdere. «Piuttosto, perché è qui?». Riavvolgo il film e mi presento.
Leggendo un libro mi sono imbattuto nella citazione dell’intervista di Zavoli. Che non conoscevo e ho ripescato su Youtube. In effetti fa una certa impressione. «Lei sa che quelle tre consorelle sono ormai in Cielo. Dunque, cosa vuole da noi?». Dunque, cominciamo con il Luigi Giussani che ci ha condotti qui. Leggo il passo che vi riguarda, In Cammino, Rizzoli Bur, 2014, pagina 132: «Mi ricordo tanti anni fa l’intervista radiofonica… Sentire le risposte di quella ragazza fu una sorpresa: vibravano di una saggezza stupefacente. Da che cosa le veniva? Dall’abitudine a percepire l’eterno dentro l’istante effimero e ad abbracciar le cose tutte insieme, perché non si può giudicare neanche d’un capello se non dalla totalità dell’organismo a cui si appartiene».
Suor Maria Elisa della Trinità, sottopriora, in convento dal 1985, originaria di Bellano: «Questa interpretazione della vita contemplativa è esatta. Perché effettivamente la distanza che si frappone tra noi e la vita ordinaria – ammesso che ordinario voglia dire qualcosa – ci permette di avere uno sguardo sintetico e nello stesso tempo non distaccato, inserito “in una totalità” come dice lui. Penso sia una conseguenza del vivere per il Signore in un ambiente circoscritto, limitato, ma non piccolo, non meschino».
Suor Teresa Benedetta della Trasfigurazione, in convento dal 1998, originaria di Foggia: «Il nostro è un piccolo mondo, ma dove è presente tutto quello che costituisce l’umanità nelle sue gioie, nei suoi dolori, nei suoi desideri, nelle sue passioni. Anche qui c’è “il tutto”. E questo crediamo possa avere un riverbero nella società, anche se noi non la viviamo».
Suor Maria Elisa: «Lo scopo della nostra vita è Cristo. E queste sono le conseguenze come ha detto suor Teresa Benedetta. Nessuna di noi si è mossa per vivere nel microcosmo. Ci siamo mosse per il Signore Gesù. Chi in un modo chi nell’altro. Chi da un posto chi da un altro».
Come fa un posto così a sussistere?
Suor Anna Grazia della Madre di Dio, priora, in convento dal 1986, originaria di Taranto: «Questo rimanda senz’altro a qualcosa che non viene dalle forze e dalle capacità umane. È opera del Signore che ci sia una possibilità umana di vivere così con Lui, per Lui, chiamate da Lui. Poiché è Lui che ci ha afferrate e ci ha condotte nonostante le nostre resistenze – parlo personalmente – le nostre tergiversazioni che sono durate un bel po’, le nostre lotte con Lui. Però alla fine c’è stata questa pacifica – tra virgolette – amorosa – senza virgolette – resa a Lui. Le sembrerà un contrasto, ma la vocazione contemplativa è una vocazione missionaria. È un esodo, ma per il mondo. Come scrisse santa Teresa, “il mondo è in fiamme”. Lo era allora. Lo è oggi. Non è una ricerca estetica la nostra. Non è per una bellezza e santità personale. Ma è proprio in comunione con tutti i fratelli. Papa Francesco insiste molto sulla “Chiesa in uscita” e mi pare che lui stesso abbia detto in una occasione, “sì, anche le suore di clausura sono in uscita” perché la nostra preghiera abbraccia tutta l’umanità. Alla fine siamo tutti servi inutili. Dio compia quest’opera».
Quante siete in convento?
«Sedici. Possiamo essere al massimo ventuno. Santa Teresa inizialmente aveva previsto conventi da tredici, per questa sua idea del “piccolo collegio di Cristo” in modo che ci si possa conoscere e vivere davvero fraternamente il Vangelo. Poi ha alzato il limite perché tredici sono poche, si incomincia a invecchiare…».
«Vivere fraternamente il Vangelo». Come suona strano qua fuori, viene in mente Eliot, «quale vita è la vostra se non avete più vita in comune»?
Suor Maria Elisa: «L’individualismo è un virus che ha aggredito il mondo, penso. Si chiamava “egoismo”, una volta. O “egocentrismo”. Effettivamente il Vangelo è fatto per l’espansione. Per uscire da se stessi. Ma non da soli. Mai da soli. E anche i primi eremiti sono sempre partiti da un momento di comunione con la Chiesa. Partiti per essere un fermento, il sale. Ma per una pasta. Non per essere incorruttibili essi stessi. La fraternità, anche all’interno del Carmelo, è certamente il tema da riscoprire. Perché è ciò che la Chiesa ci chiede di vivere intensamente oggi. La Chiesa e penso lo Spirito Santo, perché poi la Chiesa si esprime per la forza dello Spirito. Fraternità che magari nei secoli precedenti era stata – non dico oscurata perché se si leggono le antiche cronache dei nostri monasteri si coglie una vita fraterna e semplice proprio anche per il fatto di essere in numero ridotto – ma forse era stata un po’ sommersa da quello spirito penitenziale e di ascesi dura della Controriforma, che come impostazione di fondo della Chiesa intera è durata fin quasi alla metà del 1900. Adesso la Chiesa ci dice che l’ascesi vera è vivere intensamente la relazione fraterna. La società ne ha tanto bisogno. La gente che viene da noi è gente sola che non ha punti di appoggio. Le famiglie si sono sgretolate, non c’è più il legame forte su cui tu puoi sempre contare anche quando sei di cattivo umore o quando ti trovi in cattive acque».
Eh sì, come dice santa Teresa «il mondo è in fiamme». Qui le teste ancora non cadono, ma non riconoscono più nemmeno certe evidenze elementari. «Vien da piangere», ha detto il vostro cardinale arcivescovo, «a pensare che si debba spiegare che il matrimonio è fra un uomo e una donna e che un bambino ha bisogno di una mamma e di un papà». Cosa è venuto meno secondo voi?
Suor Maria Elisa: «Fondamentalmente penso sia venuto meno il primo comandamento. “Non avrai altro Dio”. L’assoluto è solo Dio. Gli altri sono idoli. Il fondamentalismo, come lo chiamano, è uno di questi. E in generale, le idee che circolano in Occidente sono idoli. Perdere il senso di Dio equivale a perdere il senso del reale, il senso del bene e del male».
Voi che nelle vostre giornate dedicate tempo anche allo studio della storia della Chiesa, trovate che ci sia stato un periodo storico paragonabile al nostro?
Suor Maria Elisa: «Non saprei. Come ordine monastico siamo recenti. A partire da santa Teresa a oggi, sono infatti passati solo cinquecento anni. Il monachesimo ha vissuto, già a partire da sant’Antonio (III secolo dopo Cristo, ndr), tanti momenti di grande crisi. Il carmelo riformato non ha ancora avuto il tempo di averne perché è nato e si è sviluppato dopo il Concilio di Trento (1545-1563, ndr), in un’epoca che è rimasta abbastanza omogenea alla nostra».
Forse la cesura è stata la Rivoluzione francese, quando a Parigi hanno ghigliottinato anche voi carmelitane…
Suor Maria Elisa: «Ma la Rivoluzione francese non ha scompaginato le coscienze. Nell’Italia dell’Ottocento la nostra comunità ebbe due soppressioni, però non ha sconcertato l’orientamento di fondo. Tant’è che il nostro ordine si è ripreso, in un certo senso dando una struttura più monolitica a ciò che già si viveva prima. Quello che si sta vivendo adesso nella società si riflette molto di più nei monasteri perché c’è maggiore osmosi, la cosa si fa più sottile».
Marshall McLuhan, il pioniere del mondo della comunicazione alla velocità della luce, sosteneva che «è il tempo dell’Anticristo», cioè dell’antirealtà. «Occorre stare molto attenti – ammoniva – su che canale ci si sintonizza». Cosa può voler dire il tempo di Internet?
Suor Maria Elisa: «È un discernimento difficile. Però, per esserci bisogna esserci. È vero, ti tira da tutte le parti, non approfondisci, ieri non esiste più».
Suor Anna Grazia: «E si rischia di addormentare la ragione. Però, l’antirealtà, come dice lei, è un rischio che c’è dall’inizio della Creazione: l’uomo vuole farsi Dio, il delirio di onnipotenza. Oggi forse succede in maniera più esasperata».
Suor Teresa Benedetta: «Essere collegati, in ogni modo, in ogni luogo, con tutti. Tutto diventa piatto. E anche i rapporti non si basano più sul tempo e sull’attesa che li aiuta a essere più veri».
C’è una sorta di evangelica rassegnazione e anche dagli amici sento dire: «Ma a cosa serve richiamare la gente alle evidenze, tanto la gente non le capisce più. Perciò non dobbiamo fare altro che testimoniare personalmente la nostra fede». Cosa ne pensate?
Suor Maria Elisa: «Ma è anche necessario fare corpo. Non per andare a combattere. Ma per sostenersi vicendevolmente. La visibilità dev’esserci perché l’Incarnazione è una legge di visibilità. E poi infonde coraggio a chi è solo, non è che faccia il male, però sta lì tutto timido».
Suor Teresa Benedetta: «Il Vangelo sono cose che si vedono, masse che si muovono, gesti che creano comunque una reazione di avversità o di stupore».
Primo Levi guarda la neve da dietro i fili spinati e sceglie l’opzione che a mio parere getta le basi dell’habitus mentale dell’Occidente colto e liberal. «Dio è una forma infinita, bella e pigra, che non ha voglia di fare nulla, come certe ragazze che una volta abbiamo sognato».
Suor Maria Elisa: «Ecco, questo è un problema che ai tempi di santa Teresa non esisteva, mentre adesso penso sia la tentazione diffusa perché il mondo ha fatto di tutto per estinguere la presenza di Dio. Prima la religione coincideva con una fede. Oggi la fede è nuda. E senza un sostegno di una espressione religiosa anche comunitaria, la fede diventa molto più faticosa. In questo senso i giovani che sono cresciuti nei movimenti hanno dentro qualcosa che tiene su – sì, questo lo abbiamo notato – la fede».
“Dolcetto o scherzetto”. Con i biscottini e il caffè, a fine colloquio fa capolino in parlatorio un sorriso raggiante e due mani che impugnano una rivista aperta su uno “speciale Chioggia”. «È la mia città! Benvenuto!». È suor Veronica del Volto di Cristo. In convento da dieci anni. «Sono cresciuta in Cl. E questo è Tempi!».