Tra le tante canzoni che girano adesso in radio, con palinsesti in cui ancora spadroneggiano i residui del Festival e l’ovvio padrone da top ten Vasco Rossi, c’è lei, la new entry Brooke Fraser, capelli neri, labbra carnose zeolandesi, una che ha fatto già parecchi album ma che è diventata famosa in Italia solo adesso.
Merito di un pezzo, Something in the water, contenuto nell’album “Flags”, dalle sonorità superprimaverili, arricchito da un ritornello che ha battiti di mani a scandirlo, e un “tuttuttutu” impossibile da non canticchiare. Proprio ciò di cui abbiamo bisogno adesso, nel periodo in cui si scaldano i futuri tormentoni estivi.
Brooke è figlia di un campione degli All Blacks e nella vita oltre a gorgheggiare fa anche la ministra della Chiesa Pentecostale, quindi si annovera di diritto nella categoria “christian pop”. Lei stessa ha raccontato di aver fatto la direttrice per la rivista neozelandese di valori cristiani e musica, Soul Purpose. Non manca infatti di inserire tematiche religiose e di fede in alcune sue canzoni, come His glory appears, dal titolo inequivocabile.
Una nuova Norah Jones, insomma, pure interessata a tematiche di triste attualità, come il genocidio in Ruanda, raccontato in Albertine. La cantante, allora solo una studentessa in vacanza africana, una decina di anni fa conobbe un superstite e si sentì profondamente toccata da questo dramma. Nel suo paese la Fraser è famosissima fin dal primo lavoro, qui da noi ci accontentiamo di conoscerla adesso. D’altronde fa sempre piacere vedere spodestate dalla classifica le solite popstar da outsider che non hanno bisogno di campionamenti per rendere interessante il loro repertorio.