Pubblichiamo l’articolo uscito sul numero 48 di Tempi.
Chissà cosa penserebbe Leonardo se fosse qui, di fronte ai suoi meravigliosi capolavori che testimoniano la sua ininterrotta crescita umana ed artistica. Forse, come tutti coloro che vengono travolti dalle grandi passioni, non vedrebbe l’ora di ricominciare a operare, partendo, con lo stesso tocco di un tempo, dall’opera su cui ha posato l’ultima volta il proprio pennello. Varcando la soglia della Sainsbury Wing è proprio difficile scollare lo sguardo da queste opere da sogno. La tentazione di rigirarsi indietro a riguardare per tante ultime volte le due Vergini delle rocce così vicine è notevole. «Neanche Leonardo ha potuto vedere tutte le sue opere insieme, e se non tutte, almeno i suoi tre bei ritratti milanesi!»è il commento generale, misto ad un’emozione che non ci abbandona neanche dopo aver lasciato l’ultima sala. Si ascoltano i commenti di chi, esperto o profano, fa avanti e indietro tra le due Vergini cercando quel dettaglio che possa renderne una più bella dell’altra – guardate com’è grazioso il Bambino e dolce il San Giovannino della versione del Louvre, e com’è bello il volto dell’angelo e il blu intenso del manto della Vergine nella tela qui di casa -, di chi sostiene che quella Madonna Litta proprio non può essere stata dipinta dal maestro e di chi, di fronte al Salvator Mundi, non riesce a trovare le parole.Ma il curatore, Luke Syson, di parole – e idee – ne ha trovate tante dato che la straordinarietà della mostra, dal contenuto assolutamente made in Italy, non è altro che l’esito di una sua straordinaria intuizione. «Ho pensato di mettere insieme il più straordinario assemblaggio di dipinti di Leonardo mai visti prima nello stesso posto»ha detto Syson. «Per la prima volta gli unici tre ritratti dipinti a Milano sono esposti nella stessa sala. Nemmeno l’artista ha avuto il privilegio di vedere le sue opere insieme. La mostra si focalizza sul ruolo di pittore di Leonardo, dato che la sua reputazione è offuscata da altri aspetti delle sue ricerche e studi. Leonardo ha studiato anatomia e fisica ed è stato uno scienziato ed un inventore, e questo solo per creare una pittura perfetta. Il suo obiettivo era quello di dipingere l’invisibile oltre il visibile, di migliorare il mondo esistente attraverso la perfezione nella pittura. Questa mostra è un tributo al più grande artista di tutti i tempi».
Per realizzare un progetto cosi ambizioso, musei e gallerie internazionali hanno prestato i loro tesori, convincendosi dell’alto valore intellettuale di questa mostra. «Le discussioni si sono protratte in alcuni casi letteralmente per anni»afferma Syson. «Coloro che detengono le opere di Leonardo non le prestano così facilmente in quanto queste sono così poche e così incredibilmente importanti per ogni istituzione che le possiede tanto da assurgere a veri e propri emblemi delle gallerie che le ospitano. Ottenere un dipinto di Leonardo è già un enorme successo, averne sette è assolutamente miracoloso>>. Una volta raccolte tutte le opere, il curatore, insieme al suo staff ha ideato l’attuale percorso espositivo che, per certi aspetti, non rispetta la naturale narrazione che generalmente caratterizza altre retrospettive. Attraversando le sale ci si accorge subito che quel che viene rispettato è la cronologia della carriera di Leonardo. «Abbiamo riflettuto molto sulla caratteristica di ogni sala del Sainsbury Wing, avente ognuna la propria forma e dimensione. Per avere un’idea di come disporre ogni opera – precisa il curatore – abbiamo usato un cartone in 3D e alcune piantine. Il nostro Dipartimento Design mi ha fornito di stampe dal formato molto ridotto riproducenti tutti i disegni e le pitture presenti nella mostra. Abbiamo usato le forme delle stanze per preparare in dettaglio il luogo in cui tutto è ormai disposto. Potrei dire che è stato come costruire una sorta di “casa delle bambole” superiore, con all’interno le più belle pitture che si possano immaginare. Ad ogni modo, ho preso ogni piccola immagine l’ho messa sulla parete dove pensavo si sarebbe inserita al meglio, riflettendo anche sull’ordine logico in termini della storia che vogliamo raccontare, dell’impatto visivo e di come questi due aspetti entrano in relazione».
Un contenitore eccezionale che mette in risalto nel migliore dei modi un contenuto dall’aura quasi leggendaria. Leonardo, infatti, è un “personaggio” che ha sempre suscitato interesse per la sua versatile e complessa personalità che è sbocciata con tutta la sua prepotenza proprio nel periodo milanese. «E’ stato un colpo di fortuna che ha portato Leonardo a Milano. E’ stato probabilmente raccomandato a Ludovico Sforza, sovrano de facto di Milano a caccia di un artista talentuoso, da Lorenzo de Medici il Magnifico, un banchiere che controllava Firenze con una furtiva manipolazione. Tra le corti italiane Lorenzo era visto come l’arbitro del buon gusto in arte, egli era un mix, in termini attuali, dei talenti di Charles Saatchi (grande collezionista), Peter Mandelson (politico) e Don Corleone nel Padrino. La presenza di Leonardo a Milano, città in cui gli artisti di corte godevano del privilegio di pensare e studiare più di quanto lo facessero i pittori professionisti, è documentata la prima volta nel 1483. Qui l’artista ha iniziato la versione del Louvre della Vergine delle Rocce che è stata conclusa certamente nel dicembre del 1848. Il dipinto è la prima prova per il sovrano di Milano delle straordinarie abilità di Leonardo». Qui il pittore-scienziato esce allo scoperto. Botanici e geologi si sono qui confrontati per lodare l’accuratezza con cui il pittore è stato capace di rendere il misterioso paesaggio. «La pitture sembra disegnata per avvalorare quello che Leonardo scriveva nei suoi appunti, ovvero che il compito del pittore è quello di dipingere tutto: il visibile e l’invisibile, l’animo umano e il mondo naturale. Il periodo milanese -spiega Syson – ha permesso all’artista di essere quello che oggi chiamiamo avanguardia, e di andare completamente al di là dell’arte. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1519, Leonardo ha effettivamente lasciato la pittura indietro per esplorare in modo sempre più profondo nuovi mondi di conoscenza».
Ma Leonardo parte sempre dal nostro mondo, in quanto è un “imitatore della Natura” e tutte le sue opere nascono dalle sue preoccupazioni come pittore e dalla sua convinzione che la pittura debba essere il riflesso della natura. «Nel tardo 1480, quando ha iniziato a formulare le sue ricette per la buona pittura, l’artista dichiarava che la pittura, serva fedele della Natura, debba rispecchiare il mondo così come è stato esperito. Osservando fedelmente le forme esterne delle piante e delle rocce, Leonardo si avvicinava ad Aristotele, la cui investigazione ed analisi del mondo naturale stava alla base della sua filosofia. Leonardo era alla ricerca di un sistema di pensieri fondato sulle prove, delineato a questo punto della sua carriera dalla convinzione che la natura essenziale di tutto quello che esiste è interna, intrinseca e unita al fattore che genera la sua specifica apparenza esterna, e per questo merita di essere studiata».
Un altro aspetto che Leonardo ha sublimato in tutte le sue opere è la propria fiorentinità. «Leonardo lavorava come un fiorentino, come un non Lombardo. Questo può essere uno dei motivi dell’inserimento del piccolo San Giovanni nella Vergine delle Rocce, non menzionato dal contratto, ma comune nelle tele devozionali eseguite a Firenze, città dedicata al Battista. Un’altra caratteristica fiorentina nella stessa opere sono le gambe accavallate del Bambino Gesù che richiamano un’antica statua di marmo posseduta anche dal Magnifico. Ma anche senza questi riferimenti diretti alle opere d’arte fiorentine, la fiorentinità di Leonardo è evidente nel suo forte naturalismo. Ed è da fiorentino il modo in cui Leonardo dipinge i ritratti del 1480, come Il Musico, sebbene questo è stato spesso accostato più ad Antonello da Messina. Ma Leonardo si rifaceva soprattutto ai ritratti del Verrocchio e in particolare al ritratto di Galeazzo Maria Sforza di Piero del Pollaiolo».
Fiorentino, filosofo e scienziato, ma anche autore di tele di carattere religioso. Leonardo stesso afferma che “La vera comprensione di tutte le forme che si trovano in Natura è la via per comprendere il creatore di queste cose meravigliose e il modo per amare questo grande inventore, poiché in verità l’amore nasce attraverso la conoscenza dell’amato”. «La Vergine delle Rocce – precisa Syson – è la prima grande opera di un pittore filosofo che tenta di mostrare agli altri come amare Dio entrando il mistero del suo universo. Non è solo un’opera in cui le osservazioni scientifiche sono utili al raggiungimento di effetti naturalistici, ma un dipinto in cui la sua unica comprensione delle caratteristiche della luce, per esempio, diventa un elemento fondamentale della capacità del pittore di accendere le emozioni religiose di chi osserva ed ascolta. Persino il ritratto di Cecilia Gallerani è stato profondamente influenzato dai dipinti sacri: ella è, pittoricamente, una “vergine annunciata“».
L’ultima sala della Sainsbury Wing ospita le due Vergini delle rocce. Anche se la prima versione, quella del Louvre, è già piena espressione delle straordinarie qualità artistiche di Leonardo, in quella qui di casa l’artista riesce comunque a toccare altri vertici. «L’aspirazione che ha guidato Leonardo nella composizione della Vergine delle Rocce della National Gallery era molto diversa da quella dell’opera conservata al Louvre. I cambiamenti nel paesaggio della tela londinese sono accompagnati da numerose altre alterazioni. L’opera è adesso più unificata dalle luci e da sottili cambiamenti della composizione. Le proporzioni delle teste e dei corpi sono diverse e più vicine al canone proporzionale a cui Leonardo ha lavorato nel 1489-90. I drappeggi sono notevolmente semplificati e più volumetrici. Lo spazio abitato dalle figure è descritto in maniera meno logica. Non si tratta più di una pittura devota al naturalismo. Essa dipende ancora dalla comprensione e registrazione del fenomeno naturale, ma adesso Leonardo combina questi ingredienti per generare le cose – piante, paesaggi, persone – che sono persino più perfette, più complete di quelle che ha fatto la natura; più vicine, potremmo dire, al loro ideale Platonico. E’ qui che l’ingrediente identificato da Vasari come la “divina grazia” viene introdotto. Dal momento in cui Leonardo ha iniziato questa pittura egli ha cominciato a pensare che più che tenere da parte questi misteri, l’opera debba incapsulare il trascendente, il sovrannaturale nel suo senso letterale. Il pittore deve dipingere “qualsiasi cosa ci sia nell’universo attraverso l’essenza, la presenza o l’immaginazione”».
Sembra quindi che la pittura possa superare la Natura. Leonardo assurge adesso ad un un duplice ruolo, quello di disinteressato osservatore e quello di elevato creatore. «Nell’Ultima Cena, per esempio, i protagonisti non sembrano più umani, i loro grandi gesti sono stranamente calcolati e la composizione risulta inesorabilmente armonica. Gli spazi sono matematicamente calcolati e indecifrabili se si usa solo la logica di un occhio. Ai suoi contemporanei questi saranno sembrati segni di un suo avvicinamento a Dio. Qui il dipinto dimostra inequivocabilmente che la Pittura si può piazzare, all’interno di una gerarchia, su un livello più alto della Natura».