Pubblichiamo la rubrica di Marina Corradi contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Lago di Lecco, marzo. Questa notte una tempesta ha rovesciato acqua gelida dentro a un vento rabbioso. Ma, all’alba, il cielo si è aperto, come rinato, terso, dimentico della furia notturna. Per chi apriva gli occhi, lo stupore di un cielo bambino.
È appena l’inizio di marzo, ma alle undici il sole che si alza nell’aria limpida già scalda, a mezzogiorno quasi scotta sulla faccia. Mi sdraio sull’erba e chiudo gli occhi, come facevo da bambina: mi piace il rosso fuoco che il sole irradia, filtrando fra le palpebre.
Riapro gli occhi e guardo il lago. È incredibilmente blu sotto a questo cielo, e mosso, percorso da piccole onde sospinte dal vento verso l’Adda, verso la pianura. Le Grigne davanti a me sono candide di neve fresca, caduta stanotte: ma già questo sole, immagino, la lambisce e la scioglie. Correrà, fra poco, in ruscelli gorgoglianti verso valle, quasi ansiosa del mare.
Questo acerbo 3 marzo, come è già gonfio di primavera. Il cane scorrazza felice per il giardino, annusa, il naso nero che vibra riconoscendo mille odori. Poi si mette a scavare una buca nel prato. E scava e scava, eccitato, come avesse fiutato la tana di una talpa. Piantala, gli dico io, sdraiata accanto, non trovi mai nessuna talpa. Ma lui continua a raspare, immerge il muso, lo strofina nella terra, ebbro di gioia. Tanto che, osservandolo, mi sorge un dubbio: che io mi stia perdendo qualcosa?
Mi guardo attorno, allora, ad accertarmi che nessuno dalle case accanto mi stia guardando. Poi mi chino anche io ad annusare la terra smossa della buca. È ancora umida dell’acqua della notte, è morbida e nera tra le radici delle prime viole. Ma, scopro con commozione, che profumo: una straordinaria fragranza di humus, di erba, dolce e insieme aspra, vibrante di un’eco di vita nuova. La prendo nelle mani, questa terra che sa di pioggia di marzo e di primo sole, e mi verrebbe quasi voglia, come fanno i bambini, di portarla alla bocca. Poi accarezzo il mio cane, grata.
Che meraviglia la terra, nel primo affacciarsi della primavera. Noi non ci accorgiamo di come cova, materna, tiepida, i fiori che non vediamo ancora. E questo vento del lago che scompiglia l’acqua e la spinge, come in un’urgenza: correre verso la pianura a irrigarla, a intriderla – perché sia pronta, quando è l’ora.
Farà, magari, ancora freddo, sotto a cieli bassi. Ma questo istante di primavera acerba, asprigna come un frutto non maturo, è un regalo da conservare sulla pelle, negli occhi. Segreto tesoro portato a casa, inaspettato, promessa lucente di ciò che verrà, fedele, una volta ancora.
Foto lago di Lecco da Shutterstock