Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Milano, luglio. Una mattina bollente. Le villette di questa periferia residenziale hanno tutte le imposte socchiuse contro il sole, che perentorio batte alle finestre. Nei giardini i cani, il muso nell’erba umida, sonnecchiano all’ombra, e un fiato di gelsomini in fiore dalle siepi si allarga sull’asfalto, che cede, molle, sotto ai tacchi. Per strada, a quest’ora, nessuno.
La chiesa è una costruzione recente, non bella. Le si spalanca davanti, oltre ai cancelli, un sagrato pavimentato a nudo cemento. Spoglia l’architettura, e niente su cui posare gli occhi. Ma come entri ti assalgono le voci di cinquanta bambini che con una bandana rossa o gialla legata sulla fronte nel cortile si inseguono, si nascondono, ti travolgono. Sorridi, meravigliata: la sola vita in questo quartiere di Milano tramortito dall’afa è in oratorio, è attorno alla chiesa. E come corrono i bambini, come gridano, indifferenti ai trenta gradi all’ombra. Più in là c’è un campetto. Corrono a perdifiato, si azzuffano tutti insieme attorno al pallone. Sorridi ancora. Solo a dodici anni si gioca a calcio, sotto a questo sole.
Entri in chiesa, la navata ombrosa ti si apre davanti mentre gli occhi stentano ad adattarsi al cambiamento della luce. Le panche scure in fila, il crocefisso dietro all’altare. Come un gran grembo dolce, dentro, è questa non bella chiesa della periferia di Milano. Avanzi verso la navata sinistra, sai che c’è, in fondo, una piccola cappella per l’adorazione eucaristica. Il Santissimo è esposto in un ostensorio d’oro. Sembra un sole: un altro sole. Tre fedeli pregano senza parole. Ti affianchi a loro. Il perfetto silenzio è rotto di colpo da un urlo trionfante: qualcuno nel campetto accanto ha fatto gol. Anche quest’urlo di bambini che giocano, pensi, è adorazione. Ripassi dalla chiesa. Da un confessionale proviene un bisbiglìo. Un vecchio prete confessa una donna. Le loro voci esalano in un sussurro, nell’aria calda e ferma. Bello che ci sia, sotto al solleone che fa sbarrare le imposte delle case, qualcuno che ascolta, qualcuno che chiede misericordia.
Esci nella luce violenta del mezzogiorno, e ora ti appare come un nido questa chiesa. Nido di vita, di giochi di bambini, di corse a perdifiato in oratorio. Di voci basse e quiete, fiduciose, nella penombra dei confessionali. Nido di sole, un sole altro, che solo chi vuol vedere vede. Sole sgargiante e imperioso, che ti costringe a inginocchiarti davanti. Felicemente però, non da servo, ma da innamorato adorante. Quanto colma di vita questa anonima non bella chiesa, mentre Milano attorno riposa, stordita dal caldo.
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