Ci guardano con quegli occhioni spalancati, a volte sognanti, castani o cerulei, il giovane Bindo Altoviti, il serio Baldassare Castiglione, e la inquieta Velata, protagonisti di alcuni dei più bei ritratti di colui da cui, come scrisse Pietro Bembo sulla sua tomba al Pantheon di Roma, «la natura, finché visse, temette d’esser vinta, e quando morì, temette di morire con lui». Si tratta del genio di Urbino, Raffello Sanzio (1483 – 1520), pittore di straordinaria inventiva, morto a soli 37 anni, nel pieno di una maturità che si attesta nelle sue tela di magistrale perfezione e ineguagliabile grazia. Un talento instancabile, che ha lavorato con l’aiuto di numerosi discepoli, tra cui Giulio Romano e Gianfrancesco Penni, per completare le numerose commissioni, dalle stanze di Papa Giulio II in Vaticano (la Scuola di Atene, la Disputa del Sacramento e il Parnaso nella Stanza della Segnatura e la Liberazione di San Pietro nella Stanza di Eliodoro), alla Madonna del Cardellino e la Bella Giardiniera per alto-borghesi famiglie fiorentine, al Trionfo di Galatea di villa Farnesina, alla celeberrima Madonna della Seggiola eseguita probabilmente su commissione di papa Leone X, alla progettazione dell’architettura, dei cartoni per i mosaici della cupola, i disegni per le sculture nella Cappella Chigi in Santa Maria del Popolo.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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