In francese capro espiatorio si dice “bouc emissaire”, ed è la prima parola della lingua di Claudel e di Péguy che mi è venuta in mente quando è arrivata la notizia che Nicolas Sarkozy era stato arrestato con accuse di corruzione, finanziamento illegale della campagna elettorale e occultamento di fondi provenienti dalla Libia di Gheddafi, e ho visto riprendere forza alla leggenda metropolitana secondo cui l’allora presidente francese volle rovesciare il regime di Tripoli ed eliminare fisicamente il suo leader per cancellare le tracce di quei finanziamenti illegali che lo aiutarono a vincere le elezioni presidenziali del 2007. Per favore, non facciamoci prendere in giro e non prendiamoci in giro da noi stessi: quello che è successo nei mesi della crisi libica del 2011 non ha niente a che fare col tentativo di un singolo leader politico occidentale di tenere chiusi alcuni scheletri negli armadi. Se tutti i politici francesi che hanno finanziato le loro campagne elettorali con soldi sottobanco provenienti da tangenti su programmi di cooperazione e contratti petroliferi spartite con capi di Stato e dirigenti africani avessero dovuto scatenare una guerra per cancellare le tracce dei loro misfatti, l’Africa francofona sarebbe stata percorsa da interminabili campagne militari in stile napoleonico dal 1960 ad oggi. Il 19 marzo di quell’anno i cacciabombardieri francesi furono i primi aerei militari stranieri a intervenire nella guerra civile libica, attaccando obiettivi del regime nei pressi di Bengasi e sistemi di difesa antiaerea su tutto il territorio libico, ma lo facevano in forza di una risoluzione votata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvata grazie al voto favorevole dei tre paesi occidentali con diritto di veto (Usa, Francia e Regno Unito) e all’astensione di Russia e Cina. Furono immediatamente raggiunti dalle forze aeree e navali di altri 16 paesi, dopodiché il 25 marzo la Nato prese il comando delle operazioni. Al termine del conflitto, il 31 ottobre successivo, gli attacchi dei cacciabombardieri di Parigi rappresentarono il 35 per cento di tutti gli attacchi delle forze Nato. L’altro 65 per cento fu condotto da aerei americani, britannici, canadesi, italiani, norvegesi, danesi, belgi, ecc. ai quali si aggiunsero caccia del Qatar e degli Emirati Arabi Uniti.
È vero che fu Sarkozy a fare pressione sull’allora segretario di Stato Usa Hillary Clinton e sull’amministrazione presidenziale di Barack Obama per convincerli a impegnarsi dalla parte degli insorti, ma gli americani si fecero convincere volentieri, e quando Obama nel 2014 definì la Libia il più grosso errore della sua amministrazione, parlava della improvvida gestione della situazione creatasi dopo l’eliminazione di Gheddafi, non dell’operazione di “regime change” in quanto tale. L’ultimo presidente democratico vedeva nelle cosiddette Primavere arabe la risposta dei giovani e delle classi popolari del mondo arabo al suo famoso discorso all’università del Cairo del giugno 2009, quello in cui aveva proposto un’alleanza fra islam e America perché «l’America e l’Islam non si escludono l’una con l’altro, e non devono essere in competizione. Al contrario, coincidono e condividono alcuni princìpi. I principi di giustizia e di progresso; di tolleranza e di dignità di tutti gli esseri umani».
Hillary Clinton vedeva nell’intervento a guida francese l’opportunità per subaffittare agli europei la conduzione di aree geopolitiche sulle quali gli Usa volevano estendere la loro egemonia, ma che non avevano la voglia e le risorse per controllare direttamente. Quando Obama affermava che per promuovere la loro posizione nel mondo gli Usa dovevano fare leva sul loro “soft power” molto più che sull’”hard power”, come aveva fatto G.W. Bush nel corso delle sue due presidenze, sottintendeva anche questo: che il lavoro sporco e i costi che gli Usa non volevano più sostenere (perché le risorse servivano a fare uscire gli Stati Uniti dalla crisi economica globale con epicentro americano scoppiata nel 2008 e a finanziare riforme sociali come l’Obamacare) potevano essere subappaltati a vicerè europei o mediorientali.
Mentre la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza autorizzava esclusivamente a usare la forza per far rispettare una “no fly zone” sulla Libia, sul terreno apparvero forze speciali a sostegno degli insorti che non avevano nessun avallo formale in sede Onu. Non si trattava solo di francesi, ma di britannici, giordani e qatarini. Ognuno aveva le sue ragioni per vedere eliminato dal gioco l’uomo che da 42 anni reggeva le sorti dell’ex colonia italiana, perfettamente invisibili sotto la legittima maschera dell’intervento di prevenzione contro i massacri che i governativi avrebbero compiuto nelle città insorte e del sostegno al grido di libertà che si levava dalle piazze arabe. Ma quali fossero le ragioni reali dell’attivismo francese lo abbiamo saputo grazie alle email private di Hillary Clinton intercettate e diffuse da Wikileaks nel marzo 2016. A tenere informata sulla Libia l’allora Segretario di Stato era un certo Sidney Blumenthal, consulente lautamente retribuito (10 mila dollari al mese) della Fondazione Clinton e uomo d’affari che stava cercando di posizionarsi per vincere lucrosi appalti in una Libia post-Gheddafi. Costui in uno dei suoi 25 memorandum spiegò che Sarkozy aveva quattro motivi fondamentali per impegnare la Francia nell’insurrezione contro il regime del Colonnello: mettere le mani sul petrolio libico, accrescere l’influenza francese nell’Africa settentrionale, avere un palcoscenico che gli permettesse di mettere sul mercato le produzioni militari francesi e l’intento di risollevare il tasso di gradimento fra gli elettori in Francia. In un’altra informativa scrisse di avere informazioni secondo le quali Parigi temeva la creazione di una nuova valuta panafricana da parte Tripoli, garantita da grandi riserve di oro e di argento, che avrebbe marginalizzato il franco Cfa adottato da 14 paesi africani e agganciato all’euro attraverso la Banca centrale francese che ne garantisce la convertibilità. Molti si tuffarono su quest’ultima indiscrezione vuoi per squalificare tutti i memorandum di Blumenthal, giudicato fonte inattendibile, vuoi al contrario per sviluppare ambiziose teorie complottiste imperniate sulla sensazionale rivelazione.
Nessuno degli obiettivi che Sarkozy si prefiggeva fu da lui ottenuto. In particolare alle elezioni presidenziali del 2012 fu battuto da François Hollande che lo superò per 51,6 a 48,4 per cento. La compagnia francese Total, che al tempo di Gheddafi produceva 55 mila barili al giorno di petrolio libico, fino alla fine dello scorso anno non ne produceva che 33 mila. Potrà fare il salto di qualità da quest’anno, aggiungendo 50 mila barili alla quota precedente, grazie all’acquisto di alcuni campi della regione di Waha dalla Marathon Oil americana. La Marathon è la seconda compagnia petrolifera americana che abbandona la Libia negli ultimi anni. Il contratto è stato firmato il 2 marzo, diciotto giorni prima dell’arresto di Sarkozy.
Il significato geopolitico dell’eliminazione del regime di Gheddafi per iniziativa franco-britannica è perfettamente chiaro: si è trattato di un’operazione neocoloniale mirata a rintuzzare la penetrazione italiana nell’area. Nell’agosto del 2008 il governo Berlusconi aveva concluso con la Libia un accordo che metteva fine a quarant’anni di contenzioso post-coloniale, e apriva le porte a una collaborazione economica fra i due paesi che avrebbe di molto accresciuto il ruolo politico ed economico dell’una e dell’altra nella regione mediterranea. I francesi rosicavano per il successo dell’Italia, vista come il paese concorrente per l’influenza nell’area. Per controbattere la mossa italiana si sono alleati agli anglosassoni secondo uno schema che è storico: sin dall’Ottocento Francia e Regno Unito competono per l’influenza in tutta l’Africa e nel Medio Oriente, ma sempre in vista di accordi reciprocamente soddisfacenti. I confini dei paesi africani e mediorientali sono stati tracciati di comune accordo dai ministri dei due paesi: da Mark Sykes e François Georges-Picot in Medio Oriente nel 1916 con l’accordo che porta il loro nome, da Jules Ferry ed Edward Malet in Africa dopo la conferenza di Berlino del 1884-5. È un peccato che in Italia molti non lo abbiano capito e, anziché aiutare Berlusconi a convincere Gheddafi a rinunciare alla repressione contro Bengasi, abbiano fatto pressioni sul presidente del Consiglio italiano perché si allineasse all’agenda franco-britannica. O forse l’avevano capito e gli stava bene così. Comunque sia, uomini come l’allora presidente Giorgio Napolitano non fecero il bene né dell’Italia, né dei libici.
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