
Su Fanpage si scrive: «Il presidente Volodymyr Zelensky aveva anticipato l’attacco russo nel Donbass con un discorso video nella nottata di ieri. “La battaglia per il Donbass è iniziata”, ha detto. Ha poi aggiunto che “una parte significativa dell’esercito russo è ora concentrata sul Donbass”».
Sarà la battaglia finale?
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Sulla Nuova Bussola quotidiana Gianandrea Gaiani scrive: «La prospettiva resta quella imposta da Londra e Washington di una guerra ad oltranza “fino all’ultimo ucraino” che risulterebbe disastrosa per l’Ucraina, logorante per la Russia e tragica per l’Europa già esposta al rischio bellico e al disastro economico».
Gaiani, fine analista di cose militari, però, insieme, tradizionalmente critico dell’interventismo delle amministrazioni democratiche americane, è convinto che il conflitto durerà a lungo.
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Sul sito di Tgcom si scrive: «Mentre aumentano le tensioni occidentali, a Oriente la Russia stringe rapporti sempre più stretti con la Cina. Lunedì 18 aprile, infatti, si sono incontrati a Pechino il viceministro degli Esteri cinese Le Yucheng e l’ambasciatore russo Andrey Denisov. La parte cinese ha fatto sapere che “continuerà ad aumentare il coordinamento strategico con la Russia”. E questo avverrà, si legge in una nota del ministero, “indipendentemente da come cambierà la situazione internazionale, per promuovere un nuovo modello di relazioni internazionali e una comunità con un futuro condiviso per l’umanità”».
Una certa saldatura, che molti temevano (tra questi Henry Kissinger) tra Pechino e Mosca, si sta realizzando.
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Su Open Dario Fabbri dice: «Questo intervento statunitense così importante sta schiacciando nuovamente l’Europa su Washington, dopo che in questi anni Emmanuel Macron aveva coltivato i rapporti con Vladimir Putin proprio per allargare lo spazio continentale. La frase classica di Macron è: “L’Europa esiste da Lisbona a Vladivostok”. Nella sua idea, la Russia doveva stare dentro il continente. La scellerata guerra di Putin ha invece consentito, dal punto di vista francese, agli americani di rientrare in pompa magna sul continente. Questo allontana molto la Francia dalla Polonia e dalla Romania, che invece sono felici di vedere così impegnati in loco gli americani. E potremmo continuare. Alla Spagna non interessa niente o quasi di quello che succede in Ucraina. All’Ungheria interessa, ma in modo opposto rispetto a Romania o Polonia: non partecipa alle sanzioni, né al trasferimento degli armamenti. La stessa Grecia ha annunciato che non trasferirà altri armamenti all’Ucraina. Io temo che, superata la fase del conflitto più duro, torneremo a dividerci anche sulla Russia».
Fabbri non è sicuro che l’unità ritrovata tra gli Stati dell’Unione Europea sia così solida da durare nel tempo senza problemi.
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Su Affaritaliani si scrive: «La commissione Bilancio del Parlamento di Strasburgo ha abbozzato uno schema che prevede di aumentare le tasse a tutti i cittadini dellʼUnione. Una tassa patrimoniale di solidarietà, per finanziare il Next Generation Eu».
Mettere tasse senza avere un’adeguata legittimazione da parte del voto popolare e quindi una sufficientemente chiara “rappresentanza” degli interessi dei cittadini, può essere un altro problema.
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Su Huffington Post Italia Paolo Griseri scrive: «Il 14 aprile scorso parlando ad Avignone, Marine Le Pen ha chiesto il voto per sé, “contro questa casta che ci governa con arroganza” presentandosi come “la candidata del popolo contro l’oligarchia”. E prima del voto del primo turno, che l’ha portata al ballottaggio contro Macron, aveva fatto della difesa del potere d’acquisto dei francesi uno dei suoi cavalli di battaglia vincenti».
Su Huffington Post Italia, dove pure si conta e si spera in una vittoria di Emmanuel Macron nel secondo turno delle presidenziali di domenica 24 aprile, vi è una certa preoccupazione per le rotture profonde che si stanno determinando nella società francese.
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Su Dagospia si riprendono queste considerazioni dal profilo Twitter di Ferdinando Cotugno: «L’Algeria è la “grande speranza” del governo Draghi per affrancarsi dal gas russo: stabile, vicina, affidabile. In realtà il paese è invischiato in una delle più durature e insidiose contese d’Africa, il Sahara Occidentale, un triangolo di ostilità cronica con Marocco e Spagna. Da trent’anni i profughi saharawi vivono in territorio algerino, mentre il Marocco occupa l’ex colonia spagnola oltre confine, circondata dal muro più lungo al mondo. È uno stallo cementato dal disinteresse. Sono anni che una guerra tra Saharawi e Marocco cucina sotto la sabbia».
E molti altri osservatori non mancano di segnalare i rapporti particolarmente stretti tra Algeri e Mosca. La sensazione che la politica estera dell’amministrazione democratica americana non sia fondata su una visione strategica (se non nell’Indopacifico, dove la impongono Australia e Giappone, anche se poi non mancano le tensioni con il decisivo partner indiano) è molto forte.
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Su Leggo si scrive: «Sfruttare la guerra in Ucraina come elemento di distrazione per condurre attacchi in Europa e rivendicare gli ex leader uccisi. È questo l’appello rivolto dallo Stato islamico (Isis) ai suoi miliziani. “Annunciamo, con l’aiuto di Dio, l’inizio di una battaglia benedetta per rivendicare i due sceicchi Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurayshi e Sheikh al-Muhajir Abu Hamzah al-Qurayshi”, ha detto il nuovo portavoce dell’Isis, Abu Omar al-Muhajir, in un messaggio audio diffuso su Telegram».
Da Gerusalemme alla Libia, dal Pakistan all’Africa subsahariana, dopo gli enormi pasticci dell’amministrazione Obama combinati nel mondo islamico, pur in parte riparati da Mike Pompeo, le carenze strategiche dell’amministrazione democratica, che alternano trattative senza princìpi con Teheran a guerre senza chiari obiettivi come quella in Ucraina, stanno portando caos in un mondo in cui molto di quello che avviene in un luogo si ripercuote su altre realtà.
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Sul Post si scrive: «“L’India vuole bilanciare le sue partnership, sia nel mondo che tra i suoi vicini, e vede valore in una Russia potente, soprattutto come un modo per prevenire l’egemonia cinese nella regione”, ha spiegato a Vox Deepa Ollapally, professoressa di affari internazionali della George Washington University, specializzata nella politica estera indiana. “L’India è preoccupata per il completo collasso della Russia e per il suo diventare uno Stato molto, molto debole nel sistema globale, perché la preferenza dell’India è per un sistema globale multipolare in cui non c’è una sola potenza prepotente”».
La scomposta fuga dall’Afghanistan, i pasticci in Pakistan, gli sgarbi ai francesi su sottomarini nucleari e missili ipersonici, e una guerra senza chiari obiettivi a Mosca: sono molte le scelte dell’amministrazione Biden che preoccupano Nuova Delhi.
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Su First online si scrive: «Il Messico vuole diventare leader mondiale nella produzione di litio. Per far sì che ciò avvenga, la Camera dei deputati ha approvato una legge di iniziativa presidenziale che nazionalizza le riserve di litio, metallo fondamentale che viene utilizzato per le batterie degli smartphone e delle auto elettriche. La legge dovrà ora passare al vaglio del Senato, dove però l’approvazione sembra scontata, data l’ampia maggioranza di cui gode alla Camera ,lta il partito del presidente Andrés Manuel López Obrador».
E problemi a Washington stanno arrivando anche dal “cortile di casa”.