Dicevo dunque, martedì scorso, che la testimonianza fino al martirio dei cristiani perseguitati mette in imbarazzo credenti e non credenti, Chiesa e società secolarizzata, per una serie di motivi. Proseguo con l’elenco.
La persecuzione dei cristiani imbarazza l’Occidente laicista perché contraddice i termini della sua demonizzazione della Chiesa. È dal tempo dell’illuminismo e dai giorni della Rivoluzione francese che essa viene descritta come uno dei due protagonisti della perversa alleanza che ha negato per secoli all’uomo la libertà. La Chiesa viene considerata un potere che ha imposto i suoi interessi materiali e spirituali (la morale cristiana trasformata in leggi positive) attraverso l’alleanza trono-altare, che ha oppresso l’umanità alleandosi o identificandosi col potere politico assolutista. Ha ostacolato il libero pensiero e impedito agli uomini di autodeterminarsi nelle questioni etiche. Fino a quando, a partire dalla Rivoluzione francese, è stato avviato il processo, non ancora concluso, che le sta strappando ogni forma e ogni vestigia di potere, compreso quello dell’autorevolezza morale.
La realtà della persecuzione anticristiana ribalta questo cliché filosofico e storiografico: i cristiani oggi non sono persecutori, sono perseguitati; non sono potenti, sono deboli; non sono oppressori, sono oppressi; non sono quelli che impongono il loro ordine morale a tutta la società, sono quelli che subiscono imposizioni. Non sono quelli da cui occorre difendersi: sono quelli che hanno bisogno di qualcuno che li difenda. Non condizionano il potere politico: soffrono dell’anarchia e dell’anomia che prevale negli Stati falliti del Vicino Oriente e dell’Africa o sono vittime di un potere politico che non li ama. Il fatto che la Chiesa che è presente negli stati del mondo occidentale nemmeno tenti di convincere i poteri temporali a prendere iniziative forti per difendere i cristiani perseguitati, è il chiaro segno che essa è ormai del tutto priva di potere politico o di strumenti per condizionare chi detiene il potere politico. Anche questo va contro i ritornelli della propaganda laicista anticlericale, che descrivono ancora le Chiese dell’Occidente come molto influenti e capaci di interferenze nella vita politica.
Ma la persecuzione imbarazza anche noi cristiani imborghesiti, perché ci ricorda una verità che tendiamo a dimenticare: non si può essere cristiani senza incontrare opposizione. Bisogna mettere in conto la persecuzione.
Il cristiano che pensa di poter vivere la sua fede sotto forma di un permanente “dialogo” con il mondo, di un rispettoso scambio di proposte fra credenti e non credenti, è destinato a restare deluso. Se in lui qualcosa del Maestro traspare, finirà fatalmente per essere trattato come Lui lo fu: sarà criticato, poi falsamente accusato, poi ingiustamente condannato. Se questo non dovesse succedere, il cristiano si preoccupi: vuol dire che, magari senza accorgersene, è sceso a compromessi col mondo, si è reso accettabile, omologabile, integrabile. Se tutti lo applaudono, se tutti lo accettano, se tutti lo rispettano, c’è qualcosa che non va.
Ricorderò per tutta la vita quel momento del funerale di Necati Aydin, un turco convertito al cristianesimo protestante che fu torturato e poi trucidato nell’aprile del 2007 a motivo della sua fede, in cui la sua vedova, Semsa, disse: «Noi mogli dei cristiani assassinati a Malatya abbiamo perdonato gli assassini dei nostri mariti, perché quello che è successo non è altro che l’adempimento di quello che è scritto nel Vangelo: “non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà” (Mc 10, 28-31). Quando ci siamo convertiti a Cristo, sapevamo che andavamo incontro a questo».
Sì, la sequela di Cristo non comporta la possibilità di scegliere solo alcuni “prodotti cristiani” e non altri, come si fa con le merci al supermercato: si può solo comprare il pacchetto intero, che comprende sia il centuplo in questa vita che le persecuzioni, e poi la vita eterna. Storicamente e teoreticamente un cristianesimo fatto solo di “porsi” senza “opporsi” non esiste e non è possibile; ponendosi il cristiano contemporaneamente si oppone al mondo e alla carne evangelicamente intesi. Posizione e opposizione sono due facce della stessa medaglia. Per questo il mondo reagisce e lo perseguita. Come disse don Luigi Giussani, «bisogna opporsi, cioè bisogna porsi con tale consapevolezza, giudizio e affettività, con tale libertà reale, che si cambi o che si cerchi di cambiare quel che ci sta davanti (…). Per questo il potere odia la libertà. Ciò sta avvenendo in Occidente in una forma tragica e umanamente più deleteria di come sia avvenuto in Russia sotto Lenin e Stalin».
Insomma, il messaggio che i cristiani perseguitati lanciano al mondo oggi è che la vita è per un Altro, il senso della vita è un Altro. Se si rinuncia alla fede, si rinuncia al senso della vita. Per questo occorre fare sacrifici per la verità, fino al martirio se necessario. Al centro della vita non c’è la mia personale ricerca di gratificazioni, soddisfazioni, piaceri, potere, carriera, status sociale. Al centro c’è la mia disponibilità a rispondere alla chiamata di Dio, c’è la mia dipendenza da un Altro, il fatto che la mia vita è affermazione non di me stesso ma di un Altro.
L’uomo cerca la felicità, ma non ha chiaro che non la troverà come si trova l’oggetto di una ricerca. La troverà solo in un rapporto con Chi è l’origine della sua vita. Scriveva laicamente Viktor Frankl: «La felicità non può essere perseguita; deve accadere, e accade solo come effetto collaterale di una dedizione personale a una causa più grande di se stessi o come prodotto della dedizione a una persona che non è se stesso». Il cristiano sa chi è la Persona oggetto di dedizione e la causa più grande di se stessi per la quale si vive. La testimonianza dei cristiani perseguitati confuta l’egoismo individualista della cultura dominante laicista, ma anche la riduzione del cristianesimo a intimismo centrato sulla sensazione di benessere spirituale del singolo.
Se è tutto questo, la realtà della persecuzione e del martirio dei cristiani dovrebbe essere messa al centro della vita della Chiesa, non in un angolo, non confinata a momenti commemorativi. Al centro della pedagogia cristiana e non alla periferia: non è di questo che parla papa Francesco quando parla di periferie. Dovrebbe essere messa al centro per almeno due ragioni.
La prima riguarda la natura della testimonianza. Non è semplicemente testimonianza, è azione salvifica. I cristiani martiri sono Cristo in Croce oggi; il loro sacrificio è un sacrificio consapevole, non un incidente. Perciò sono corredentori del mondo e dell’umanità. Prima di domandarci cosa possiamo fare noi per loro, come possiamo aiutarli, dobbiamo partire da qui, da quello che loro fanno per noi, da quello che loro fanno per l’umanità.
Seconda ragione: la loro testimonianza è un potente richiamo alla conversione. Ci richiamano a mettere al primo posto la testimonianza della Verità, a dare la nostra vita per Cristo come loro stanno dando la loro, ad operare per la Giustizia, perché di fronte all’ingiustizia che loro subiscono
Noi siamo chiamati ad operare per la giustizia, cioè per il rispetto del diritto alla vita e alla libertà religiosa. Ci chiamano a cambiare vita, a cambiare l’ordine delle nostre priorità, a mettere Dio e i fratelli prima di noi e davanti a noi.
Mi permetto, a partire dalla mia esperienza personale di incontri coi cristiani del Vicino Oriente e dell’Africa, di suggerire un percorso metodologico per mettere la testimonianza del martirio odierno dei cristiani al centro del cammino comunitario, della catechesi, della pedagogia, della compagnia, della pastorale e di tutto il resto. Tutto comincia con un incontro, prosegue con altri incontri e con la fedeltà a tali incontri. Mettere al centro allora vuol dire: 1) incontrare i martiri, direttamente o indirettamente attraverso testimoni dei testimoni; 2) contemplare, nel significato cristiano del termine, la loro azione redentrice; 3) fare memoria dei vivi e dei morti –perché chi ci è caro veramente continua a essere oggetto del nostro amore anche quando non è più fra noi; 4) permettere loro di diventare parte della nostra famiglia, arrivare a sentirli nostri fratelli e sorelle come i fratelli e le sorelle carnali. Quando ci saranno diventati familiari, ci verrà più naturale rispondere alla chiamata di Dio attraverso i drammi della realtà; non solo la chiamata ad azioni di carità e di giustizia verso i cristiani perseguitati, ma ogni chiamata della realtà.