Sulla Zuppa di Porro Luigi Bisignani scrive: «L’attuale Parlamento, poi, è come la Libia con i vari capataz che non controllano più le loro milizie». Ecco una descrizione convincente della realtà istituzionale italiana che induce a credere come il rischio peggiore non siano le elezioni anticipate bensì andare avanti in questo pantano.
Su Startmag Francis Walsingham scrive: «Ciononostante, frotte di chigisti, quirinalisti, notisti, redattori, retroscenisti e fuffisti continuano legittimamente a scavare: che cosa vuole fare Draghi? Cotanta curiosità si trasforma in afasia. Eppure a rispondere alla domanda non è una qualsiasi Gazzetta di Acitrezza, ma addirittura il settimanale The Economist (“Authoritative global news and analysis”). Non so se mi spiego. E che cosa scrive il settimanale britannico? “Mr Draghi wants to be President”. Così, papale papale. Roba da titoloni in prima pagina oggi sui quotidiani italiani. Tanto più che la portavoce di Draghi a Palazzo Chigi posta integralmente su Twitter l’editoriale dell’Economist». Magica stampa italiana, l’autorevole Economist scrive che «Draghi vuole il Quirinale» e tutti a far finta di niente.
Su Formiche Francesco De Palo scrive: «Mentre l’Europa non raggiunge alcun accordo sull’energia, mostrando poca sintesi sulle “troppe divergenze”, in Italia vengono riaccese due centrali a carbone a La Spezia e a Monfalcone, a causa della crisi energetica. Il prezzo del gas al momento è ben cinque volte più alto rispetto a 12 mesi fa, per cui le azioni, anche apparentemente disarticolate, che si stanno succedendo sono figlie di una mancanza di stabilità strategica che si abbatte sui bilanci di imprese e famiglie: il tutto a vantaggio dei super players che usano il gas come arma geopolitica». L’Unione Europea (quella che De Palo chiama Europa) più che decisioni (queste riguardano solo questioni molto limitate) è fonte di una retorica. D’altra parte un potere senza una Costituzione (anche autoritaria, magari) non va lontano. Più in generale rileggetevi Robert Musil e la sua Kakania, per capire che cosa sta avvenendo a Bruxelles.
Sul Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «La politica del muro contro muro e il non riconoscimento della necessità di non isolare la Russia condurrà alla conclusione di un patto russo-cinese assai più solido di quello che oggi si va configurando?». È sempre più raro confrontarsi con un pensiero critico, non retorico, e che prevede dunque la possibilità di esiti catastrofici.
Su Huffington Post Italia Federica Fantozzi scrive: «In ogni caso, Salvini è intenzionato ad avere un ruolo da protagonista nella successione a Mattarella». Un ruolo da protagonista te lo conquisti se presenti diverse varianti per la soluzione di una questione così complessa come l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Se ti metti a rincorrere quelli che stanno facendo i loro giochi, il ruolo che ti conquisti è quello di ininfluente codista.
Su Nuova Bussola quotidiana Gianpiero Camiciotti scrive: «Gli adolescenti non hanno dimenticato: conservano radicati nel Sé questi vissuti, che stanno ora influenzando il loro modo di affrontare la realtà scolastica, le relazioni con docenti e compagni, la loro vita in generale. Il piacere di ritrovarsi, il ritorno ad una normalità, anche se limitata, certamente rallegra e alleggerisce la giornata in aula dei ragazzi, ma si coglie sui loro volti e nelle loro reazioni una sofferenza interiore profonda, che l’onnipresente mascherina, più che dispositivo di sicurezza costante “memento mori”, non riesce a dissipare. Con questo Sé destabilizzato e confuso gli studenti sono ora in classe e stanno cercando di ritrovarsi, travolti da emozioni e sentimenti alterni, con comportamenti non prevedibili; ciascuno con il proprio vissuto, la propria storia familiare, le proprie modalità di reazione». Ecco una voce intelligente che ci invita a non semplificare i problemi accumulati con la pandemia.
Su Affari italiani si registra questa frase di Emmanuel Macron anti Draghi: «Di fronte alle varianti del virus, dobbiamo continuare ad agire da europei». Vuota retorica. Addavenì Pécresse!
Su Fanpage viene riportata questa frase di Gregorio De Falco: «Tutto viene fatto dal governo, senza possibilità di modifica. Come se il Parlamento non esistesse più». De Falco eletto tra i 5 stelle, è passato al gruppo misto, cambiando schieramento come hanno fatto circa altri trecentocinquanta parlamentari, mentre il movimento in cui era stato eletto ha cambiato idea sul 90 per cento del proprio programma (do you remember: il vaccino per il morbillo, la Tav, la Tap, l’euro etc etc?), e nel frattempo ha delegittimato l’istituzione nella quale era presente, votandone la riduzione di un terzo dei membri. Lamentarsi perché in questa condizione il Parlamento stia svanendo (magari facendo di tutto per evitare il voto anticipato) appare più un comportamento da Schettino che da De Falco.
Su Affari italiani un articolo con questo titolo: “Renzi-Toti, nasce il grande centro”. Grande?
Su First online Gianfranco Borghini dice: «Una volta bastava che il sindacato minacciasse uno sciopero e il governo tremava o cadeva». Una volta.
Su Startmag Francesco Damato scrive: «Potrebbe apparire un vulnus a gente di comune buon senso, portata a pensare che un Parlamento in scadenza così complessa e vasta come quello in carica da quasi quattro anni sui cinque della durata ordinaria sia il meno indicato, attendibile e quant’altro al compito assegnatogli dalla Costituzione di eleggere il Capo dello Stato, con tutte le maiuscole usate dall’articolo 87 della Costituzione». In realtà è tenere in vita un Parlamento ancora per un anno così conciato come il nostro (e qualche riflessione su chi ha la responsabilità di questo degrado sarebbe gradita) è la cosa meno indicata per tentare di dare una via di uscita alla nostra democrazia. Ecco perché occorre un presidente della Repubblica dalla statura incontestabile per un ruolo di garanzia e andare di corsa al voto anticipato.
Su Formiche Gennaro Malgieri scrive: «Dividendo i voti che i sondaggi attribuiscono a Zemmour e alla Le Pen è fin troppo facile immaginare che nessuno dei due potrà contendere la poltrona presidenziale a Macron. Non si sa, come si sussurra, se il polemista francese, uomo colto e grande storico e giornalista, lavori per “spaccare” la destra stessa oppure sia un caso che la sua dirimpettaia abbia voluto negare a Zemmour e ad ambienti repubblicani di destra la possibilità di stabilire un’intesa tale da poter sfidare il presidente uscente con la possibilità di vincere l’intera posta». Come diceva Lindon B. Johnson di Gerald Ford: non sa camminare e contemporaneamente masticare il chewing gum. Un difetto diffuso a destra in tutto l’Occidente.
Su Affari italiani Gabriele Penna scrive: «Matteo Renzi invece, dalle colonne della Nazione manda messaggi criptici: “Serve un regista”, l’altra volta “il mio Pd aveva meno grandi elettori di quanti ne ha oggi il centrodestra. Ma noi avevamo una strategia, andare alla quarta votazione, e un candidato poco conosciuto ma molto forte, Sergio Mattarella. Oggi la destra ha i numeri. Non mi pare che abbia però né una strategia né il candidato”». Il centrodestra è abbastanza scarso quanto registi e inoltre ha tra i piedi un sabotatore come Renzi che già sette anni fa fece saltare l’accordo con Silvio Berlusconi per difendere il proprio potere personale. Con esiti peraltro deludenti.
Su Byoblu Edoardo Gagliardi riporta questa frase di Giorgio Agamben: «L’intervento di Agamben parte dal presupposto che l’ordine politico e giuridico in cui gli esseri umani credevano di vivere è profondamente mutato. “L’operatore di questa trasformazione, o sarebbe il caso di dire di questo colpo di Stato – spiega Agamben – è lo stato di emergenza che è una zona di indifferenza tra la politica e il diritto”». Ecco un’analisi brillantemente sbagliata. La democrazia italiana non è stata depotenziata dall’arrivo della pandemia: era già depotenziata dal commissariamento della politica dopo il 2011, magari applaudito da tanti tra coloro che oggi si lamentano delle strette politiche (in parte inevitabili) per ragioni sanitarie.
Su Atlantico quotidiano Matteo Milanesi scrive: «Invece di affidarsi al metodo democratico, e di rigettare scelte poco rispettose dei diritti fondamentali, violati con il plauso quasi unanime degli italiani, gran parte della classe politica e del circuito mediatico ha scelto la strada del socialismo e abbandonato quella della libertà; quella della società chiusa in contrasto con quella aperta». Milanesi solleva preoccupazioni ragionevoli che diventano molto fragili perché non fanno veramente i conti con le oggettive difficoltà che una società aperta incontra nel chiudersi a una pandemia.