Su Fanpage si scrive: «Le forze ucraine che difendono la città portuale assediata di Mariupol combatteranno fino alla fine contro le truppe russe, ha affermato oggi il primo ministro ucraino Denys Shmyhal. In un’intervista, Shmyhal ha detto che la scadenza della Russia per la resa delle forze ucraine a Mariupol entro domenica è stata ignorata. “La città non è ancora caduta”, ha commentato. “Ci sono ancora le nostre forze militari, i nostri soldati, quindi combatteranno fino alla fine. E per ora, sono ancora a Mariupol”, ha detto alla rete americana Abc».
La guerra sarà decisa nel Donbass e a Mariupol?
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Sul sito di Tgcom si scrive: «Missili di crociera sono stati lanciati dal Mar Caspio sulla città di Leopoli, ha detto il governaotre regionale Maksym Kozitiscky, uccidendo diverse persone. Si sono sviluppati anche alcuni incendi: tre missili hanno colpito infrastrutture militari e il quarto un centro pneumatici. Tutti gli obiettivi sono stati gravemente danneggiati».
Non è proprio (ancora?) una guerra circoscritta.
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Su Open si scrive che il comandante Michail Pirog, che guida il Battaglione dei 1.000 volontari nazionalisti di Azov di stanza nella zona di Zaporizhzhia, a 220 chilometri da Mariupol, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera ha detto: «La svastica su uniformi e bandiere? È un antico simbolo slavo, pan-europeo, persino indiano. Per noi non ha alcun rapporto col nazismo».
Il battaglione Azov è impegnato in uno sforzo eroico in difesa dello Stato ucraino, la sua spiegazione delle svastiche su divise e bandiere non è però del tutto tranquillizzante.
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Su Fanpage si scrive: «“Il fallimento nazionale della Russia è solo questione di tempo”. Ne è convinta la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen».
La Von der Leyen fa il suo mestiere a sostegno dell’Ucraina, speriamo che lo accompagni anche con qualche idea su come arrivare se non alla pace, almeno a una tregua.
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Sul Post si scrive: «Secondo il presidente del Consiglio, l’Europa deve quindi imporre un “tetto” al prezzo del gas russo con l’obiettivo di rafforzare le sanzioni e allo stesso tempo rendere meno significativi gli effetti delle stesse sanzioni sui paesi che le hanno imposte: in pratica, l’Unione Europea dovrebbe decidere unilateralmente di pagare meno per le forniture di gas, imponendo alla Russia la sua decisione».
Naturalmente il sostegno all’Ucraina richiede scelte difficili. Ma alzare sempre i toni, non affidarsi a una diplomazia segreta che accompagni le necessarie minacce a proposte di vie di uscita, non è proprio possibile?
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Sulla Zuppa di Porro Corrado Ocone scrive: «Ultimamente Francesco sembra però aver cambiato registro, ad esempio riaffermando senza ambiguità i valori cristiani relativi alla vita (contribuendo anche, in qualche misura, a stoppare la legge italiana sull’eutanasia). Fino ad assumere una posizione sulla guerra in Ucraina di schietta impronta cristiana, cioè predicando il disarmo e la pace senza se e senza ma e porgendo lo sguardo alle sofferenze degli umili e delle tante anime innocenti che ovviamente non hanno colore e stanno dall’una come dall’altra. Il pacifismo cristiano, spesso contraddetto nel passato dalla stessa Chiesa, che è istituzione umana come le altre, è questo e non altro».
Lasciare almeno al Papa la possibilità di testimoniare per la pace dovrebbe essere un impegno di tutti.
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Su Formiche Dario Quintavalle scrive: «Come ho già scritto, la condanna delle politiche di Putin e della violenza delle sue soldataglie deve essere netta e intransigente, ma non ci si deve lasciar trascinare acriticamente dalla russofobia della destra ucraina che sta invece prendendo piede nel discorso pubblico, anche a livello delle maggiori leadership europee. Di tutto abbiamo bisogno meno che di uno scontro di civiltà che criminalizzi indistintamente un intero popolo, la sua gente, la sua lingua e la sua cultura. Abbiamo bisogno di leader che parlino di pace e di riconciliazione, ora e subito. E che l’unico a farlo sia papa Francesco, e venga pure criticato per questo, è sconvolgente».
La logica dell’escalation anche delle parole si sa dove inizia, ma non dove finisce.
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Sul Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «Con l’invasione Putin si è completamente schierato dalla parte del torto, ma se si vuole percorrere la via delle trattative l’obiettivo della neutralità di Kiev dovrà essergli concesso. Dobbiamo prevedere anni difficili. E comprendere come agire di conseguenza, come Occidente. Se esistesse, l’Occidente…».
Già, se esistesse l’Occidente…
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Su Strisciarossa Paolo Soldini scrive: «È proprio su questo quarto elemento, il contenzioso tra la Russia e i due paesi del Nord, che potrebbe aprirsi lo spazio per una iniziativa europea. La Svezia e la Finlandia sono neutrali ma appartengono all’Unione Europea, fanno parte cioè di una comunità che potrebbe offrire loro le garanzie di sicurezza che i loro popoli, comprensibilmente reclamano e che, com’è testimoniato dai sondaggi, ritengono di poter trovare ormai soltanto sotto “l’ombrello della Nato” (per usare un’espressione per noi storicamente suggestiva). La dissennata avventura di Putin ha avuto, tra i suoi tanti effetti disastrosi, anche quello di distruggere l’equilibrio che era stato garantito per tanti decenni proprio dalla neutralità della Svezia e soprattutto della Finlandia. L’Unione potrebbe farsi promotrice di un’iniziativa per la ricostruzione di un sistema collettivo di sicurezza reciproca sulla falsariga di quello che fu realizzato negli anni Settanta con il processo culminato nell’Atto finale di Helsinki. Il sistema potrebbe appoggiarsi sull’apparato giuridico delle Nazioni Unite che a loro volta sarebbero in grado di indicare soluzioni per la tutela delle minoranze senza che a nessuno venga la tentazione di modificare i confini o anche solo violarli. Esistono esperienze in cui questo approccio ha funzionato e una ce l’abbiamo proprio noi sotto gli occhi nel Sudtirolo. Utopie mentre la guerra infuria e diventa sempre più crudele? Forse, e però nell’evidente divaricazione degli interessi che si va sempre più manifestando all’interno dell’Occidente e della Nato stessa, non sembrano, al momento, profilarsi altre vie d’uscita che non prevedano, quanto meno come un rischio da correre consapevolmente, la prospettiva di una guerra totale e distruttiva. L’Ucraina e la Russia sono in Europa ed è l’Europa che deve cercare la via per farle convivere in pace».
Beati quelli che cercano anche e ancora una via della pace e non solo quella della guerra.
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Sul Sussidiario Leonardo Tirabassi scrive: «Quando un paese entra in guerra, deve sapere bene quali siano i motivi, quali gli obiettivi politici e gli strumenti militari per raggiungere quei fini. In una parola, è necessario avere bene in mente quali siano gli elementi che costituiranno la futura pace alla fine del conflitto».
L’idea che circola molto di fare una guerra senza dirlo, comporta conseguenze politiche devastanti.