Orlando: strage per mancato godimento

Una delle costanti dei terroristi jihadisti, che si tratti di lupi solitari autoradicalizzati o di gruppi addestrati e collegati organicamente allo Stato Islamico o ad Al Qaeda, è certamente quella di attaccare o di tentare di attaccare luoghi di svago ed eventi ricreativi: bar, discoteche, sale per concerti, stadi dove si giocano partite di calcio, arene all’aperto con maxischermi, ristoranti, spiagge sono da tempo bersagli privilegiati delle disparate varietà di islamisti in armi che periodicamente fanno cronaca. La strage del Pulse di Orlando, “the hottest gay bar” della cittadina della Florida, come dichiara il suo sito internet, non è che l’ultimo episodio di una trama consolidata, che va dallo sgozzamento di 62 turisti per lo più svizzeri in visita ai templi di Luxor ai 202 morti delle esplosioni nel quartiere dei locali notturni di Bali, dall’assalto ceceno al teatro Dubrovka di Mosca concluso con la morte di 133 ostaggi all’eccidio di 74 spettatori ugandesi durante i campionati del mondo di calcio del 2010, dalle 39 vittime falciate a colpi di arma da fuoco su di una spiaggia di Sousse in Tunisia ai 130 morti del Bataclan a Parigi durante il concerto degli Eagles of Death Metal e dei locali all’aperto del quartiere di Saint-Denis, agli attentati contro hotel, bar, ristoranti e resort balneari in Mali, Burkina Faso e Costa D’Avorio nei mesi scorsi. Gli spettatori della partita amichevole di calcio Francia-Germania allo Stade de France del 13 novembre scorso, poi, si sono salvati solo per l’inettitudine degli attentatori. Così come devono la loro vita al caso o al destino o alla confusa sessualità di Omar Mateen, lo stragista di Orlando, i frequentatori del locale parco Disney World, che pure la guardia privata aveva soppesato come possibile bersaglio alternativo.

L’islam radicale così come lo hanno elaborato i talebani, Al Qaeda, gli al-Shabaab somali, l’Isis e altri gruppi estremisti prevede una serie di divieti relativi a musica e concerti, spettacoli dal vivo o televisivi, sport e intrattenimenti vari, tutte attività considerate per varie ragioni sacrileghe e quindi vietate. Ma non è questa la ragione principale per cui gli attentati sopra citati e altri ancora hanno avuto luogo nell’ultimo ventennio. Soprattutto negli ultimi anni e soprattutto in Europa e in America i templi del divertimento e i santuari dello svago sono stati presi a bersaglio da attentatori animati da un odio e da una determinazione che vanno molto al di là dell’intento di seminare terrore o di infliggere una punizione religiosamente motivata a masse di trasgressori della volontà divina. C’è un evidente rancore, un risentimento profondo in uomini come Omar Mateef, come gli attentatori di Moelenbeek.

Da sempre spettacoli e giochi sono strumento di legittimazione del potere politico ed espressioni di un’egemonia culturale. Che il consenso e la sottomissione della plebe si possano ottenere elargendo “panem et circenses” lo scriveva già Giovenale 1.900 anni fa. Oggi però la riduzione della vita a gioco, la celebrazione nichilistica del qui e ora come orizzonti ultimi della vita non sono più solo uno strumento di controllo delle masse da parte di chi detiene il potere, ma l’essenza stessa del nuovo tipo di uomo che la postmodernità occidentale ha prodotto, della mutazione antropologica che, secondo Philippe Muray, ha dato origine a Festivus Festivus, cioè alla trasformazione dell’homo sapiens in un uomo senza memoria, totalmente immanente, nel quale la dualità maschio-femmina è abolita, infantilizzato, che cerca solo emozioni perché esse intrattengono in lui l’illusione di avere un’individualità e di essere autonomo.

I terroristi islamisti di tutte le varietà che oggi assaltano uno stadio o una discoteca gay sono convinti di “portare l’attacco al cuore dello Stato” allo stesso modo delle Brigate Rosse quando sparavano su poliziotti, magistrati e uomini politici. Si tratterebbe di istituzioni che legittimano l’ordine dominante: la puntuale celebrazione delle liturgie del divertimento sottintende che tutto va bene, che il potere garantisce pace e giustizia, che lo status quo regge ed è benefico, che gli schiavi sono grati al loro padrone che li lascia sfogare come vogliono, permettendo loro di ballare come forsennati, di disperare e gioire allo stadio per le imprese della squadra del cuore, di sfregare le proprie parti sessuali come, quando e con chi vogliono. Il terrorista punisce lo spettatore, il frequentatore di locali, il turista, il bagnante, il consumatore non tanto per quello che fanno, e che certamente lui disprezza, ma per il consenso che costoro tributano al potere attraverso quel godimento.

Questo è un primo livello di motivazione della violenza terrorista contro i divertimentifici, ed è un livello che fa pensare che i terroristi jihadisti aprono il fuoco sui frequentatori di un bar gay o di un concerto di musica heavy metal come lo avrebbero aperto sugli spettatori del Colosseo al tempo dell’Impero Romano. Ma non è l’unico. Soprattutto per un motivo biografico: gente come Omar Mateen o come Salah Abdeslam (l’unico terrorista di Parigi sopravvissuto) non hanno guardato da fuori i sollazzi della vita occidentale, ci sono cresciuti dentro, ne hanno fruito direttamente. Sapevano cosa si prova a ubriacarsi, ascoltare musica a tutto volume, agitarsi insieme a migliaia di persone a un concerto, farsi una canna, avere rapporti sessuali occasionali con persone dell’altro sesso o del proprio. Sapevano anche, più tranquillamente, cosa significa gustare delizie a un ristorante, prendere il sole sulla spiaggia o sentirsi scorrere l’acqua del mare o di una piscina sulla pelle, giocare con la playstation o con uno skateboard. Tutto questo, a quanto pare, non li ha soddisfatti. La promessa di godimento a sazietà, per quanto li riguarda, non è stata mantenuta. Da qui rabbia, disprezzo e l’invidia che genera risentimento. Invidia nei confronti di coloro che sembrano appagati del piacere offerto dalla società dei consumi e del permissivismo, di quelli che “chi si accontenta gode”. Mentre la loro esperienza è contrassegnata dall’insoddisfazione esistenziale non tanto alla Albert Camus, quanto alla Mick Jagger: I can’t get no satisfaction. I patiti dei fumetti forse ricorderanno quella storia di Dylan Dog dove un massacro opera di un pazzo ha come sottofondo parole e note della canzone dei Rolling Stones. Nel film Apocalypse Now è la musica che erutta dalla radio del soldato Chef durante un momento di relax dell’equipaggio del battello pattugliatore con cui il capitano Willard risale un fiume alla ricerca del colonnello Kurtz, ma potrebbe davvero benissimo essere la colonna sonora di tutte le stragi di tutti i lupi solitari islamisti nati e cresciuti in Occidente.

Già, ma perché questi immigrati musulmani di seconda generazione (e come loro altri giovani che musulmani non sono: si pensi ai protagonisti dei ricorrenti massacri all’interno di scuole americane, anglosassoni o discendenti di immigrati ebraici come nel caso dei due killer della Columbine High School) non provano soddisfazione nel poter godere delle libertà della società festiva, consumista e sessualmente liberata americana o belga o francese? Perché la festa senza fine di oggi non è la festa di ieri, non è la festa dei loro padri e dei loro nonni – dei nostri padri e dei nostri nonni. È festa senza memoria, senza legami sociali, senza comunità storica. È festa che simula il legame, la comunità, l’appartenenza. Non è l’espressione di qualcosa che c’è già, che è stato trasmesso dai padri, è stato ricevuto ed è stato fatto proprio. È ricerca dell’emozione momentanea, intermittente, frutto di un’affinità estrinseca. Quella che c’è fra persone che tifano per la stessa squadra, che adorano la stessa band, che condividono la stessa preferenza sessuale. Ma i godimenti che nascono da questo tipo di appartenenza sono per loro propria natura effimeri e sfuggenti. È questa natura effimera del piacere che provoca ribellione, esistenziale e politica, fino alla violenza stragista. Una forma di ribellione che fa pensare subito al disagio psichico individuale, che ovviamente c’è ed è palese, ma non di meno ha un contenuto e delle motivazioni politiche evidenti, perché dietro alle patologie psichiche dei singoli nella società individualista ci sono precise responsabilità politiche. Quello che Aldous Huxley ne Il mondo nuovo aveva prefigurato, è diventato realtà, come spiega magistralmente Jean-Pierre Le Goff: «Le feste del nuovo mondo si svolgono in una società divenuta permissiva che valorizza le figure del ribelle e della rivolta, e che banalizza e sterilizza la trasgressione. (…) Nel suo Il mondo nuovo Aldous Huxley ha ben descritto questo tipo di trasgressione integrata al funzionamento di una società scientista e igienista, dove la libertà sessuale e la droga sono permesse purché scollegate dalla procreazione e da ogni attaccamento durevole, e purché non mettano in questione la società. (…) Si tratta di rendere impossibili le idee stesse di tentazione e di passione, permettendo e inquadrando una modica quantità di vizi gentili che non mette in causa la stabilità sociale». (Malaise dans la démocratie, pp. 138-40).

Sul piano personale, la delusione per le promesse non mantenute della festa consumista e permissiva è devastante in chi, come gli immigrati di seconda generazione, è stato separato alla nascita dall’ethos comunitario e gerarchico dei genitori e dei nonni per essere allevato secondo il credo individualista della mobilità sociale e dell’insubordinazione generazionale. Come spiega Le Goff, «questo modo di fare festa è diventato uno stile di vita. L’individuo isolato e stressato può non soltanto dimenticare il vuoto e le costrizioni della vita moderna, ma anche dimenticare se stesso, distrarsi o sballarsi con la musica assordante e/o l’assunzione di diverse sostanze, fondersi all’interno di un gruppo per un tempo stabilito, prima di ritrovare la strada di una vita sociale indigente e inoperosa. Le feste del nuovo mondo mirano a una grande mescolanza fusionale».

Ma per il figlio di immigrati, che è il primo della sua discendenza a fare l’esperienza dell’autonomia individuale, è totalmente impossibile dimenticare se stesso. Gli è stata tolta l’appartenenza alla comunità nella continuità fra le generazioni in cambio dell’autonomia e del libero arbitrio dell’individuo, ed ecco che gli si chiede di privarsi dell’individualità appena scoperta per la fusione nell’anonimato emotivo del gruppo. Gli avevano promesso l’individualità e l’autonomia, si ritrova dentro a un’appartenenza fittizia mille volte più povera dell’appartenenza a un ordine gerarchicamente fondato, dove la persona è debitrice a Dio e alla sua famiglia, nel quale era nato e al quale è stato strappato. Succede che qualcuno dia lucidamente di matto, e che agiti la bandiera verde dell’islam politico sul sangue che va spargendo.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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