Maggio, Milano. C’è questo cielo sempre corrusco, gonfio di nuvole irose che si
sopravanzano l’una con l’altra come nella carica di una disordinata cavalleria. Sospinte da correnti diverse si incrociano, si travolgono, si incupiscono di nero, promettendo tempesta. C’è spesso il vento: questo vento non freddo, ma che ogni tanto si alza più forte, e scompone i capelli e le gonne, e fa frusciare le foglie larghe, morbide degli ippocastani sui viali. È un mondo irrequieto il cielo di questo maggio sopra Milano; come gonfio di attese, desideri e forse paure. È un cielo che non lascia tranquilli. Deve essere bellissimo guardarlo dall’alto dei tetti dei grattacieli, più vicino, incombente, le nuvole che paiono impigliarcisi dentro. O dagli abbaini di qualche vecchia casa di Brera: stare a contemplare la pioggia che scroscia e scivola sui vecchi coppi, appena intiepiditi da un fugace sole. E dai casotti in cima alle gru dei cantieri di Porta Nuova? In quella solitudine là in alto chissà che vertigine, nel turbinare del vento, la città sotto così stranamente lontana.
Deve essere bello guardare queste nuvole grasse, matrone, dalle guglie del Duomo; come in un orgoglioso confronto fra due masse altrettanto imponenti; il marmo candido della cattedrale, e le nuvole immense, fatte di vapore, di niente. E potere restare lassù quando il temporale scoppia, e le prime grosse gocce schiaffeggiano i santi e le vergini immobili, docili, sulle loro guglie antiche. Ma, anche, non c’è forse del bello nel camminare veloci nella pioggia nei viali del parco improvvisamente deserto, e annusare a fondo, inebriandosene, l’odore buono della terra bagnata? E ridere con la bambina, se un colpo di vento ti rovescia l’ombrello cinese. Quel vento che sembra vivo, una creatura che si insinua nei nostri pigri cortili e li ridesta con il colpo di una imposta che sbatte; e fa fremere le vecchie edere sui muri. E spalanca le finestre di antiche case colme di ricordi, e di odore di chiuso; irrompe, crea scompiglio, mentre i vecchi inquilini corrono a richiudere le imposte, spaventati ma in fondo eccitati da quel visitatore inatteso. Il vento, che ti butta la pioggia in faccia, forte, a sferzarti; ed è bella questa ruvida carezza dell’acqua, carezza di cosa viva.
Forse perfino tra i viali vuoti dei cimiteri questo vento di maggio è una grata presenza. Soffia, corre nei corridoi dei colombari, rovescia un vaso, porta semi selvatici sulle tombe abbandonate: forse carezzano anche la solitudine dei morti,
queste folate di maggio. Lo so che odiate tutti la pioggia. Ma provate a guardarla
davvero, mentre batte sui tetti, o fa lucente l’asfalto solitamente opaco. Mentre impregna la poca terra di Milano, e fa sbocciare i nostri stentati gerani metropolitani sui balconi. A me sembra così bella. Così gravida di vita nuova. Perfino tra le crepe
dell’asfalto dei marciapiedi spuntano, in questo maggio, figli della pioggia e del vento, esili fiori randagi.