La Bossi-Fini e il “reato di soccorso ai clandestini in difficoltà”. Come nasce una bufala

Ieri a Strasburgo il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione bipartisan sull’immigrazione che invita gli stati a «modificare o rivedere eventuali normative che infliggono sanzioni a chi presta assistenza in mare».

Ora, come i lettori di Tempi sanno (perché hanno letto questo articolo per esempio), la legge italiana che regolamenta la materia, la famigerata Bossi-Fini, non prevede alcuna sanzione di questo tipo. Al contrario, al comma 2 dell’articolo 12 indica esplicitamente che «non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato».

Ciononostante, in Italia molti politici e una certa parte della stampa, cavalcando l’emozione per il terribile naufragio dei profughi eritrei avvenuto a Lampedusa a inizio ottobre, hanno iniziato giorni fa a chiedere (con tanto di raccolta firme) l’abolizione della Bossi-Fini additandola come colpevole di tutte le morti in mare, dal momento che – affermano – introduce pene anche per chi soccorre gli immigrati sui barconi in difficoltà.

Perciò questa mattina è stato facile profeta il quotidiano Libero pubblicando in prima pagina una specie di avvertenza rivolta ai suoi lettori: «Oggi leggerete su altri giornali e sentirete dire in tv che il Parlamento europeo ha attaccato la Bossi-Fini».

Al di là del merito della questione (come tutte le leggi umane, anche la Bossi-Fini si può discutere, purché lo si faccia con onestà e senza inventare balle), l’episodio è utile per comprendere come nascono le bufale giornalistiche.

Ecco l’articolo che compare nell’edizione odierna di Repubblica sull’argomento:

Ed ecco quello del Corriere della Sera, lievemente meno strumentale:

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