Sono state appena inaugurate ad Imola due mostre personali di Marco Di Giovanni (Teramo, 1976) a cura di Maria Katia Tufano. La prima è ospitata al Museo di San Domenico, è una piccola antologica, dal titolo Una fine, che raccoglie i lavori che hanno segnato la ricerca dell’artista degli ultimi anni. La seconda è visibile presso la sede dell’associazione BeCube: intitolata L’infinito commestibile è un’installazione complessa, composta da un video, una scultura in ferro, dei tavoli da birreria e una serie di opere su carta che rappresentano, sotto forma di diario visivo, un’annotazione di tutto ciò che l’artista ha ingerito negli ultimi undici mesi. Le mostre saranno visibili rispettivamente fino al 19 luglio e al 21 giugno 2015. Abbiamo intervistato Di Giovanni per farci raccontare il connubio tra godimento dell’arte e della buona tavola.
Nell’ultimo anno ha meticolosamente appuntato e disegnato tutto ciò che ha mangiato. Come le è venuto in mente di storicizzare il rito del pranzo e della cena (rito oggi che ha perso la sua “sacralità” familiare a causa delle sempre più corte e solitarie pause pranzo)?
A dir la verità io ho disegnato e sto ancora disegnando tutto ciò che ingerisco, tranne l’acqua, quindi anche un caffè al volo, una pasticca, non solo pranzo e cena quindi. Dopo il respiro nutrirsi è il primo atto per la sopravvivenza ed è questo che ritraggo. Amo la convivialità, specialmente attorno ad una buona tavola (sono mezzo Abruzzese mezzo Toscano, figuriamoci!), ma in questa lunga performance l’isolamento la fa da padrona: il cibo, me, il foglio, trattenendo il respiro tra un boccone e l’altro mentre seguo a china le linee di un calamaro con l’acquolina in bocca. Tutto il resto scompare con mio imbarazzo per i malcapitati compagni di tavolo che non degno di uno sguardo concentrato come sono….
Tra le opere presenti nella mostra L’infinito commestibile, c’è n’è una che in particolare svela il suo piatto preferito?
Non può essere una coincidenza che ciò che più mi diverte disegnare sia anche ciò che più mi piace mangiare: pesce, crostacei e verdure. Gli scampi li disegno da molto prima de L’Infinito Commestibile: un ossessione, ne faccio orgiastiche accumulazioni (che intitolo “NON C’E’ SCAMPO”) e ne ho sempre mangiati molti perché sono cresciuto vicino alla costa Adriatica.
Il doppio evento ad Imola mi fa pensare ad una sorta di “invito a cena” per il pubblico, un modo per stuzzicarlo e fargli riscoprire la profondità della convivialità…
In effetti l’allestimento è quasi un omaggio alle sagre di paese, e lo spazio di un grande capannone industriale come quello dove ho esposto, ovvero quello dell’associazione culturale BeCube, si presta perfettamente. Diciamo che poi non si capisce bene cosa sia successo: tutto è scomposto, le tovaglie s’arricciano, tavoli che cedono ed altri che s’impennano, e poi il menù è sconfinato ed indefinibile, e tutto è già stato mangiato da una sola persona….ed una colonna sonora ci accompagna senza disturbare: composta da Gianluca Favaron, artista sonoro, utilizzando solo la registrazione della mia masticazione, deglutizione e digestione. Il capannone della festa era una trappola: esso si rivela lo stomaco stesso dell’artista che ha mangiato il mondo e nell'”invito a cena” non era specificato che eravate voi la cena. Per farmi perdonare la sera dell’inaugurazione ho voluto offrire la migliore porchetta di Campli (TE) dei fratelli Cappuccelli servita magistralmente dagli stessi produttori che l’hanno portata ancora tiepida direttamente dall’Abruzzo: eccelsi panini con crosta per tutti!