L’importanza di una presenza cristiana in tutti gli ambiti della società

Una pagina delle Tesi per il Movimento Popolare, 1975

Quella che segue è la seconda parte della nostra rilettura delle “tesi per il movimento popolare”, opuscolo diffuso il 21 dicembre 1975 a Milano in occasione della nascita ufficiale del Movimento Popolare. Le uscite precedenti della serie sono reperibili in questa pagina.

* * *

La tesi di fondo implicita nella posizione del Movimento Popolare è che il fatto cristiano non solo cambia la vita del singolo individuo, ma fonda, in forza della sua natura unificante, un popolo, ed è il popolo – non le élite di qualunque tipo (partitiche, tecnocratiche, intellettuali, economiche, eccetera) – che deve guidare la vita sociale e politica di un paese, perché solo un soggetto popolare può farsi carico dell’istanza di liberazione che palpita nel cuore di ogni essere umano.

Spazio per i cristiani. E per i comunisti

Nel cristianesimo non può esserci uomo nuovo, se non c’è anche – storicamente riscontrabile e incontrabile – un popolo nuovo. Il quale non nutre aspirazioni egemoniche, ma lavora per una società e per un sistema politico dove i protagonisti siano tutti i “soggetti popolari” presenti nella nazione, detti anche, in altri testi dell’Mp, “unità di popolo”.

A questo argomento è dedicato il punto numero 5 delle tesi per un movimento popolare, intitolato “Un pluralismo di soggetti popolari come condizione per il rinnovamento della società”. In esso si legge che

«va inteso per “soggetto popolare” ogni realtà sociale che si riconosca in una unità culturale e/o religiosa e/o etnica e che tenda alla compiuta espressione a livello sociale e materiale della propria identità» (5.1).

«In Italia esiste un soggetto popolare cristiano, da tempo avvilito nella sua identità, che sembra sulla via di ritrovare il gusto di responsabilità culturali e politiche» (5.2).

«Esiste un soggetto popolare comunista, egemonizzato da una dirigenza che vuole convogliare su di sé il consenso per una nuova gestione del potere modificando – secondo alcuni – o tradendo – secondo altri – l’originaria peculiarità culturale dello stesso soggetto e l’istanza popolare da cui era nato» (5.3).

«A tutti coloro che fanno riferimento a tali culture va riconosciuto uno spazio di espressione, di confronto e di critica, nonché la possibilità concreta di dare un contributo all’edificazione della nuova società» (5.7).

Come si può notare, il Movimento Popolare riconosceva nel movimento comunista un soggetto popolare che doveva avere spazio nella vita sociale e politica, mentre criticava la dirigenza del Pci che si era data come obiettivo tattico quello del “compromesso storico” con la Dc e gli altri partiti del cosiddetto “arco costituzionale”, e come obiettivo strategico l’egemonia in tutti gli ambienti della società, dove proponeva il sindacato unico, il movimento degli studenti unitario, eccetera. Contro tutto questo l’Mp insisteva sulla necessità del pluralismo.

Una “esigenza storica” di presenza e azione

Il punto 6 delle tesi, titolato “Esigenza storica di un movimento popolare promosso da cristiani”, sintetizza i caratteri salienti di «un Movimento Popolare promosso da cristiani» (6.2). Anzitutto viene chiarito che

«il Movimento […] non è suggerito né fondato da alcuna gerarchia ecclesiastica. Lo scopo essenziale del Movimento è, in sintesi, quello di rendere possibile la presenza e l’azione del soggetto popolare cristiano – accanto ad altri soggetti – in tutti gli spazi sociali dalla cui gestione dipende la qualità della vita di un popolo. Si tratta, esemplificando, di stimolare una presenza nei luoghi di lavoro e del tempo libero, nelle scuole, nelle università, nei quartieri, negli ospedali, nelle campagne, nei centri elaboratori di cultura, di diffusione di opinione, di programmazione dell’economia, dell’assetto del territorio, eccetera» (6.2.2).

Ciò comporta la capacità di correggersi:

«Il Movimento Popolare vuole essere anche un luogo entro il quale sia possibile compiere comunitariamente una continua autoriflessione sulle concrete esperienze compiute da coloro che rendono presente il soggetto popolare cristiano in tutti gli spazi sociali» (6.2.3).

Prepartitico non vuol dire neutrale

Il Movimento deve fare politica, ma a livello prepartitico. Non è però neutrale rispetto alle scelte elettorali: appoggerà la Democrazia Cristiana, anche con l’obiettivo di riformarla: «Il Movimento Popolare intende svolgere un’azione non solo sul piano culturale, ma anche su quello politico […] non è un partito politico né intende costituirsi come corrente all’interno di un partito […] ritiene che la Democrazia Cristiana sia ancora oggi lo strumento partitico storicamente più agibile per un soggetto popolare cristiano, e quindi attribuisce importanza ai suoi rapporti con questo partito», di cui si riconosce la fase tormentata che sta attraversando, per cui il Movimento Popolare

«nelle forme e con i mezzi congeniali alla propria natura, intende dare un contributo affinché tale travaglio sfoci in una profonda trasformazione dell’attuale assetto di questo partito, nel recupero dell’originaria identità cristiana e popolare, e nella volontà di garantire un effettivo spazio alla crescita e al ruolo del soggetto popolare cristiano nei molteplici ambiti in cui si articola la nostra società, nel rispetto di tutti gli altri soggetti» (6.3.6).

Tendenza all’unità nel confronto

Il movimento si caratterizza come pluralista:

«L’adesione al Movimento Popolare non comporta l’abbandono delle singole esperienze di provenienza, ma piuttosto richiede l’approfondimento della storia e della identità proprie di ciascuna di esse. La tendenza all’unità, caratteristica del cristianesimo anche nell’impegno sociale, è sentita dal Movimento sia come un obiettivo da raggiungere con tutta la pazienza necessaria, sia come metodo di confronto tra le molteplici componenti del Movimento stesso» (6.5.3).

 

La descrizione degli strumenti operativi sottintende la valorizzazione della dimensione espressiva rispetto a quella organizzativa dei partiti, funzionale alla trasmissione della “linea” dal vertice alla base:

«Il Movimento non intende costituire organismi come sono le sezioni o le cellule attraverso le quali gli attuali partiti individuano e veicolano le loro linee politiche nei diversi settori. Al contrario intende costituire nuclei di democrazia partecipata e di cultura popolare, capaci di esprimere una globalità di vita culturale, sociale, religiosa, artistica e ricreativa» (6.6.1).

Il dovere di rinnovare le strutture della società

Al punto 7 delle tesi (“Il Movimento Popolare e il futuro della società”) viene esplicitata la volontà del Movimento Popolare di cambiare le strutture sociali e politiche italiane, anche se viene premesso che sarebbe sbagliato «proporre in maniera definita e schematica il modello di un’ipotetica società nuova e i mezzi e i tempi per realizzarla». Tuttavia sulle strutture occorre intervenire, perché

«se il cristianesimo è, di sua natura, una novità di vita, l’azione sociale e politica di un soggetto popolare cristiano che non voglia tradire se stesso deve contribuire a rinnovare la società nelle sue strutture, quando si rivelano superate; nei suoi modi di gestione, quando si rivelano oppressivi; nei fini generali che intende perseguire, quando si rivelano disumanizzanti» (7.2).

Crisi della partecipazione: un’analisi ancora attuale

Insomma, il cristiano non può ignorare il «desiderio di liberazione» evidenziato dai «fermenti esplosi dal ‘68 in poi». La diagnosi della crisi della partecipazione politica e della confisca del potere reale da parte delle élite sembra scritta oggi:

«Le forme tradizionali di partecipazione politica e gli istituti di democrazia formale (gli organi dello Stato e i partiti) versano oggi in una crisi profonda che coinvolge, in maniera diversa, tutti i paesi industrializzati. Le istituzioni rappresentative sono ormai quasi svuotate di effettivo significato e si riducono, solitamente, a luoghi di ratifica delle decisioni che di fatto vengono compiute là dove il potere reale esiste, vale a dire nei centri del potere economico e finanziario e nei vertici burocratici dello Stato, dei partiti e dei sindacati».

Esperienze di società nuova

In positivo, si segnala la crescita di «nuove strutture di partecipazione popolare», «nelle fabbriche (consigli di fabbrica), nelle scuole e nelle università (elezione diretta dei vari organi di partecipazione previsti dai decreti delegati), nei quartieri (mediante la realizzazione di forme, anche se ancora embrionali, di decentramento)». Bisogna però guardarsi dall’assemblearismo, che «non è espressione di una democrazia sostanziale e articolata, […] si limita a dare una parvenza democratica a decisioni prese al di fuori dell’effettivo controllo di coloro che sono ad esse interessati» (la stoccata è destinata ai gruppi della sinistra extraparlamentare).

All’interno delle nuove strutture di partecipazione popolare che vanno fiorendo,

«i soggetti popolari devono essere in grado di costruire esperienze di società nuova, in cui possono avere luogo nuove forme di vita, di relazioni umane, di valorizzazione della personalità e di contributo di ognuno, di consapevolezza della propria responsabilità sociale e storica, di analisi dei problemi e delle urgenze della vita materiale» (7.8.3).

«I primi ambiti di espressione di questi brani di realtà nuova vanno individuati nel mondo dell’educazione, della comunicazione e dell’amministrazione locale» (7.8.4).

(2. continua)

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