Il lato oscuro del desiderio

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Repubblica dedica oggi molto spazio al presidente della Camera Laura Boldrini e alla sua «battaglia contro il femminicidio, culminata venerdì scorso con l’esposizione del drappo rosso dalle finestre di Montecitorio», una battaglia che «non conosce sosta», scrive Repubblica, anche perché «viene drammaticamente alimentata, giorno dopo giorno, da nuovi tragici atti di violenza contro le donne». Sono purtroppo già quattro, ricorda il quotidiano romano, le donne assassinate dai mariti o fidanzati negli ultimi dieci giorni.

Se la Boldrini, però, non riesce a trovare di meglio che ridurre tutto questo a «un problema degli uomini che non riescono a vivere una relazione paritaria» e «quando vogliono chiuderla ricorrono alla violenza» (così la terza carica dello Stato ha detto ieri a una radio privata), la stessa Repubblica ha deciso di offrire ai suoi lettori uno spunto di riflessione ben più profondo. Si tratta di un commento dello scrittore Nicola Lagioia, che merita la lettura. Anche (ma non solo) perché comincia ricordando che quando si parla di femminicidio «la cosa meno intelligente da fare è cedere alla tentazione di dividere il mondo in due»: da una parte i maschi «evoluti, non violenti, magari progressisti, capaci di instaurare con il partner un rapporto all’insegna di empatia, rispetto e comprensione reciproca. Dall’altra il mostro, che ovviamente non è tale fino a quando non si rivela al mondo come stalker, molestatore, stupratore, assassino».

Lagioia invece preferisce domandarsi «che cosa condivido io con l’assassino». E il tentativo di risposta è tutt’altro che banale. Perché a differenza del mainstream culturale il vincitore del premio Strega 2015 non si limita ad accusare l’eredità del «vecchio mondo patriarcale» che porta il maschio italiano lasciato dalla propria donna a interpretare quell’abbandono «come la rottura di una sorta di legge mosaica, o un crimine contronatura». Secondo lo scrittore infatti «a questa distorsione si aggiunge un insegnamento (parimenti mostruoso) della post-modernità». Un «virus» da cui Lagioia per primo riconosce di essere affetto.

Scrive Lagioia:

«Parlo del principio secondo cui ogni desiderio deve essere soddisfatto. Buona parte del modello sociale di oggi si fonda su un diabolico fraintendimento, la persuasione cioè che la nascita del desiderio […] sia tutt’uno col nostro nucleo irriducibile, e come tale un diritto ontologico, inalienabile. […] L’ombra che questo grottesco fraintendimento getta su di noi è l’incapacità di accettare le sconfitte e i fallimenti. Quando una donna ci lascia, ancora una volta, crediamo sia accaduto qualcosa di illegittimo, di oggettivamente censurabile. In fondo, c’è tutta una società là fuori pronta a urlarci che i nostri desideri sono sacri (“e io non voglio che tu mi lasci! Io voglio che tu ci sia, che mi stia vicina, sempre!”).

Anche qui, non credo che i maschi italiani che picchiano o uccidono le loro donne siano eterodiretti dalla società che essi stessi hanno fondato. Più semplicemente, trovano un contesto molto congeniale allo scatenamento del loro lato più oscuro, violento e infantile. E a ogni modo, che cosa condividiamo con loro al netto dell’esplosione della condotta criminale? Questo abbaglio sulla natura del desiderio, si potrebbe dire, vale anche per le donne, visto che il XXI secolo lo stiamo abitando tutti insieme. Ma se c’è una cosa che il work in regress in cui viviamo ci sta insegnando (e qui il discorso si allarga) è la rivalutazione della legge del più forte».

Ecco. Consigliamo ai nostri lettori – e anche ai lettori di Repubblica – di prendere molto sul serio la notazione di Lagioia che ricorda come «qui il discorso si allarga». In effetti il «lato oscuro» del desiderio è molto, molto ampio, tanto da avvolgere con la sua ombra buona parte dei presunti “diritti” cari alla post-modernità. I diritti del più forte.

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