
Su Huffington Post Italia Luigi Di Maio dice: «“C’è il rischio che la guerra duri più di un anno”. A dirlo è Luigi Di Maio a Mezz’ora in più, su Rai 3, collegato da Berlino dove partecipa al vertice dei ministri degli Esteri dei paesi Nato, affermando che “bisogna sempre tenere aperto un canale con Mosca” e la Nato “non deve farsi coinvolgere né deve esserci la percezione di un suo coinvolgimento”. Però “sui mercati questa è già una guerra mondiale”, spiega il ministro degli Esteri. “C’è una guerra mondiale del pane” con grande sofferenza soprattutto nel Nord Africa, per cui Di Maio si recherà nei prossimi giorni a New York per un’iniziativa a livello Onu “per abbassare il prezzo del grano”, mentre a Roma si terrà l’8 giugno un’iniziativa della Fao per il Mediterraneo. C’è poi il capitolo energia, con la riunione di lunedì a Bruxelles in cui si discuterà il sesto pacchetto energia: Di Maio sottolinea che “la priorità italiana è il tetto massimo al prezzo del gas, perché rischiamo che i prezzi vadano fuori controllo. Il problema non sono le forniture e le quantità, il problema è il prezzo” che può diventare insostenibile per le famiglie e le imprese».
C’è una guerra energetica e una alimentare, fatti che non sfuggono nemmeno a Di Maio, forse comprendere i pericoli è una premessa per affrontarli con razionalità.
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Su Formiche Emanuele Rossi scrive: «La velocità con cui lo Stato islamico sta guadagnando terreno in Africa è preoccupante, spiega una analista del settore sicurezza parlando delle dinamiche attuali di quel gruppo che un tempo controllava una parte di Siria e Iraq, sotto il Califfato di Abu Bakr al Baghdadi. “Diverse aree africane, soprattutto al centro-nord, sono punto di rinascita del gruppo”, continua, “e, visto il contesto delicato, l’evoluzione africana è adesso il principale obiettivo della Coalizione globale per sconfiggere l’Isis, che nella riunione annuale fatta questa settimana a Marrakech ha riconosciuto come il gruppo terroristico stia guadagnando rapidamente fette di territorio controllato, sfruttando lo scontento locale, spesso legato al malgoverno, per prendere il potere in regioni del Mali, del Niger e del Burkina Faso”».
La crisi alimentare, conseguente alla guerra di aggressione russa, può diventare il detonatore di nuove espansioni del terrorismo islamista, una ragione in più per cercare soluzioni in tempi non biblici.
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Su Formiche Dario Cristiani, senior fellow del German Marshall Fund, scrive: «Alla domanda di Biden su “cosa faresti”, Draghi ha risposto “dobbiamo lavorare insieme per stabilizzare la Libia”».
Se veramente Joe Biden, che da vice di Barack Obama con quei due geni di Hillary Clinton e John Kerry, ha collaborato a combinare il disastro libico ora in corso, riuscirà a rimediarlo, si potrà dire che si realizzerà quello che prevede un noto modo di dire milanese: “Fa e disfà l’è tut un laurà”. Fare e disfare è tutto un lavorare.
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Su Formiche Emanuele Rossi scrive: «Le tensioni tra Algeria e Marocco, entrambi dotati di un arsenale militare di livello, non sembrano rallentare e anzi sollevano crescenti preoccupazioni in Europa riguardo alla possibilità che si arrivi a un (per ora remoto) conflitto aperto. Il rischio sarebbe una massiccia destabilizzazione del Maghreb con ricadute su tutto il Nordafrica fino al Sahel, e conseguenze per l’Unione Europea, che tra l’altro sta puntando anche su questi attori per riorientare la politica estera verso l’Africa».
Non mancano interessi europei, la Spagna ha appoggiato le rivendicazioni marocchine sull’ex Sahara spagnolo, mentre l’Algeria sostiene gli indipendentisti saharawi, così l’Italia che punta su forniture energetiche algerine si trova in contrasto virtuale con la Spagna. Il disordine mondiale, se non governato, diventa anche tensione all’interno dell’Europa, anche tra paesi con interessi simili.
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Su Startmag Giuseppe Gagliano scrive: «Una settimana prima, probabilmente per “preparare” meglio questo incontro collegiale, i ministri degli Esteri cinese e russo si erano recati a Kabul per colloqui con il loro omologo talebano, Khan Muttaqi. Il capo della diplomazia di Pechino ha avanzato, tra le altre strade, l’idea di associare il territorio afghano al corridoio economico Cina-Pakistan (Cpec) con lo scopo di rafforzare la nuova via della seta. Durante questi due giorni di incontri e scambi ufficialmente dedicati alle sorti dell’Afghanistan e ai mezzi collettivi per accompagnare il suo reinserimento nel concerto delle nazioni, rappresentanti speciali di Cina, Russia, Pakistan ma anche Stati Uniti hanno avuto un appuntamento per una sessione di lavoro della Troika plus (o Troika estesa). È facile immaginare quanto si sia sentita sola la delegazione americana all’interno di questo collettivo che non è sensibile agli interessi della lontana America. In questo forum ad hoc, il capo della diplomazia cinese ha invitato Washington a porre fine alle varie sanzioni applicate al regime talebano afghano e a liberare l’accesso ai fondi congelati negli Stati Uniti».
Il programma di isolare la Russia non è così semplice come certa retorica racconta.
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Su Huffington Post Italia Roberto Arditti fa una sintesi della situazione internazionale: «Bisognerebbe smetterla di ragionare sulle drammatiche vicende ucraine senza collegarsi con la realtà, soprattutto quando si parla di questioni militari o di approvvigionamenti di gas e petrolio, temi di impressionante complessità logistica, economica e, quindi, politica. Credo cioè necessario guardare al futuro senza aprire il libro dei sogni, che resta pieno di fascino ma che a nulla serve quando si tratta di affrontare problemi seri, così come ritengo opportuno progettare relazioni internazionali basate sui reali rapporti di forza e sulla concreta situazione geopolitica del mondo, poiché il prezzo da pagare in caso di previsioni irrealistiche rischia di essere micidiale per le nostre fragili democrazie liberali (a vario grado d’intensità)». Conclude così: «Spostiamoci quindi dalla nuvole alla terra, trovando il coraggio di guardare le cose come stanno. Si può e si deve immaginare per l’Italia e per l’Europa un piano di parziale sganciamento dalla forniture russe, che però non ha motivo serio di essere totale».
Le esitazioni delle società energetiche europee e dei loro governi ad applicare le indicazioni del Parlamento europeo hanno i piedi in terra, mentre le polemiche contro il “cedimento alla Russia” stanno tutte nell’empireo delle buone intenzioni.
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Su Tgcom si scrive: «Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador è arrivato a L’Avana, ultima tappa di un viaggio in America centrale che lo ha visto visitare anche Guatemala, El Salvador, Honduras e Belize, con al centro prevalentemente le tematiche legate all’emigrazione irregolare diretta verso gli Stati Uniti. Da qualche tempo López Obrador ha accentuato i suoi interventi di sostegno a Cuba, rivolti soprattutto alla Casa Bianca, a cui ha chiesto di revocare le sanzioni economiche in vigore da 62 anni».
Sarà che l’isolamento della Russia su scala globale è completamente realizzato.
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Sulla Nuova Bussola quotidiana Stefano Magni scrive: «L’involuzione autoritaria, la corruzione endemica, il familismo con cui una dinastia si impossessa della macchina dello Stato e la usa per arricchirsi: sono questi gli elementi che accomunano Filippine, Sri Lanka e altri casi di paesi dell’Indo-Pacifico che parevano avviati sulla via della democratizzazione. Sicuramente non aiuta la presenza silente della Cina, che ha mantenuto ottimi rapporti con Duterte negli ultimi sei anni e con i fratelli Rajapaksa, facendo soprattutto dello Sri Lanka una base della sua Nuova Via della Seta. L’influenza non favorisce la democrazia, tutt’altro: basti vedere al golpe nel Myanmar, favorito da Pechino».
Ecco un altro esempio di come il disordine globale sia un ambiente sfavorevole al consolidamento delle fragili democrazie.