L’Udc ha cambiato simbolo. Al posto del nome di Pier Ferdinando Casini, sopra lo scudo crociato adesso campeggia “Italia”, bianco in campo rosso. Ma cosa rimane nel dopo-Chianciano oltre i titoli dei giornali di un paio di weekend fa?
A sentire alcuni parlamentari centristi, molto poco. Quella dell’ex presidente della Camera, dicono, era una mossa annunciata da tempo. Ma le carte da giocare erano molto poche: nonostante il pressing su alcuni ministri tecnici, non sono riusciti a convincere nessun nome eccellente a sostenere apertamente il progetto casiniano. «Ma era ovvio – commenta un deputato di lungo corso – nessuno si vuole esporre con le elezioni così lontane, la paura di bruciarsi è troppa». Al suo entourage, Casini aveva anche annunciato la presenza di Emma Marcegaglia. «Il nostro Monti donna», l’ha definita Rocco Buttiglione. Ma molti nel gruppo parlamentare si aspettavano un impegno più concreto: «Se dici di condividere il progetto ma non ti possiamo mandare in televisione per svecchiare un po’ il partito sui media nazionali, è tutto inutile», commentano fonti della Camera. Proprio lì sta il problema.
Anche tra i centristi, si è avvertita la discrasia tra il lancio in pompa magna di un nuovo progetto politico e la poca sostanza che c’è dietro il cambio del nome. «Se riuscissimo a mandare Marcegaglia, Riccardi, magari anche Passera in giro a parlare a nostro nome, trasmetteremmo almeno l’idea che qualcosa di nuovo bolle in pentola. Così come spieghi alla gente che l’Udc si è rinnovato?», spiega un dirigente molto vicino al presidente dell’Udc.
La paura di molti è quella di ripetere la dinamica delle ultime politiche, quando pezzetti del mondo cattolico bussarono alla porta della dirigenza centrista minacciando azioni di disturbo (leggi: piccole liste che avrebbero drenato qualche migliaio di voti), in cambio di due o tre seggi in Parlamento.
Per contare più delle percentuali di cui l’accreditano i sondaggi (molto vicine a quelle di cinque anni fa), tutti guardano verso Luca Cordero di Montezemolo. «Da solo non va da nessuna parte», concordano i centristi, «mentre noi potremmo fornirgli quella struttura sulla quale poggiarsi per raccogliere un consenso che non sia solo quello d’opinione». Il nodo è quello dell’eventuale candidatura a premier. Nello scudocrociato c’è poca voglia di lasciare le chiavi di una macchina ben oliata in mano a un papa straniero. Viceversa sarà difficile rifarle la carrozzeria senza l’apporto delle truppe di Italia Futura. «La dirigenza di Italia Futura sta sollecitando Montezemolo a pronunciarsi – spiega un dirigente dell’Udc che ha consuetudine con gli ambienti del presidente della Ferrari –. Ma lui si ostina a rimandare. Se non fa un passo entro settembre, i tempi potrebbero farsi troppo stretti».
I toni tendono a minimizzare il duro strappo dei montezemoliani, che hanno liquidato Chianciano come un “misto fritto”. La paura, se l’ex presidente di Confindustria giocasse una partita in proprio insieme a Oscar Giannino, è vedersi sottratta una parte del proprio elettorato potenziale.