Ancora undici centesimi, solo undici centesimi di euro appena e per le strade di Milano potremmo vedere le stesse scene che l’11 settembre scorso sono state riprese nelle ramblas di Barcellona e trasmesse in tutto il mondo. Muovendo dal presupposto che i lombardi – sia quelli di vecchia radice che quelli di recente insediamento – presentino la stessa capacità di sopportazione e lo stesso grado di esasperabilità dei catalani, una richiesta di secessione dall’Italia e quindi di indipendenza per un nuovo Stato potrebbe non essere lontana. E soprattutto a farla propria potrebbero essere non solo i simpatizzanti della Lega Nord, che da sempre alimenta correnti secessioniste, ma cittadini di ogni persuasione politica: come sta succedendo in Catalogna.
I CATALANI VOGLIONO L’INDIPENDENZA. Sul New York Times del 4 ottobre è infatti apparso un commento a firma di due giornalisti spagnoli catalani, Ricard Gonzalez e Jaume Clotet, a favore dell’indipendenza della loro regione d’origine. Il pezzo contiene i soliti argomenti storico-culturali, dall’interpretazione dell’esito della guerra di secessione spagnola dell’inizio del Settecento come di una perdita della sovranità catalana (concetto in realtà anacronistico, trattandosi di una guerra fra borboni e aragonesi, casate che si contendevano il potere) alla sottolineatura della differenza linguistica fra catalano e castigliano. Ma il primo argomento che viene presentato nel commento e che attira maggiormente l’attenzione è quello economico-fiscale: «La regione totalizza un quarto di tutto l’export spagnolo», scrivono. «Ma per ogni euro che i catalani pagano di tasse, solo 57 centesimi vengono spesi nella regione. Prima del prelievo fiscale, la Catalogna è la quarta regione più ricca della Spagna. Dopo il versamento delle tasse, scende al nono posto: una forma di redistribuzione forzata senza paragoni nell’Europa contemporanea».
LOMBARDIA COME LA CATALOGNA. Senza paragoni? In realtà il residuo fiscale negativo della Lombardia non è tanto diverso da quello catalano: il cittadino lombardo in media versa in imposte allo Stato 14.579 euro, e se ne vede restituire 9.977. Detto come lo scriverebbero sul New York Times, per ogni euro di tasse pagate i lombardi vedono tornare 68 centesimi di euro: non siamo tanto lontani dai numeri per i quali a Barcellona si sono arrabbiati assai. E quando si rifaranno i conti, il combinato disposto delle nuove imposte e delle nuove aliquote di vecchie imposte e dei tagli di spesa pubblica decisi dal governo Monti potrebbero innescare una sindrome catalana in piena regola.
RECORD DI TASSE IN ITALIA. Presidente del Consiglio, ministri e ora anche il presidente della Corte dei Conti continuano a ripetere che il problema numero uno è l’evasione fiscale e non l’eccessiva imposizione fiscale e la redistribuzione troppo penalizzante per regioni e categorie produttive. Ma i numeri danno loro ragione solo in parte. Il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino ha appena affermato che l’Italia è il paese Ocse (l’associazione di 34 paesi industrializzati ad economia di mercato) con la più alta evasione fiscale, fatta eccezione per il Messico e la Turchia. L’anno scorso aveva detto che eravamo i secondi dietro la Grecia. Ma sono comunque calcoli basati su una stima dell’incidenza dell’evasione sul Pil. Ci sono altri modi di guardare alla questione. Per esempio Tax research London, un think tank sulle politiche fiscali che ha realizzato un’apposita ricerca per il gruppo Alleanza progressista della Sinistra e Democratici al Parlamento europeo, e dunque non è sospettabile di cedevolezza sulla questione dell’evasione fiscale, ha confermato che sì, l’Italia sarebbe il paese con la più alta evasione fiscale e la più grande economia sommersa in Europa in valore assoluto. Ma se si calcola l’incidenza dell’evasione italiana sul totale delle imposte che gli italiani versano effettivamente e che lo Stato incassa, si scopre che l’Italia è solo nona nell’Europa dei 27: la precedono Romania, Lituania, Estonia, Lettonia, Cipro, Grecia, Malta e Polonia. Gli italiani, insomma, evadono tante tasse e pagano tante tasse nello stesso tempo: siamo il paese con la più alta imposizione fiscale del mondo, pari al 55 per cento del Pil.
SVILUPPO O SECESSIONE. In Consiglio dei ministri dovrebbe essere arrivata in queste ore la bozza del cosiddetto Decreto Sviluppo. Staremo a vedere. Analisti ben più esperti di me giudicheranno se il tardivo provvedimento del governo Monti è davvero in grado di innescare una ripresa della crescita economica. Non dovesse esserlo, gli alberi e i torrenti smetterebbero di cantare le lodi del governo Monti che ha risanato i conti dell’Italia e salvato il paese dalla bancarotta, e nel silenzio calato almeno sulle contrade del Nord Italia le strade si riempirebbero di gente che non si è mai sognata in vita sua di mescolarsi alle camicie verdi, che non ha mai avuto e che non avrà mai il mito fumoso della mai politicamente e culturalmente esistita Padania. Ma che non potrebbe lasciarsi portar via i frutti del proprio lavoro senza nulla in cambio, e in più con la beffa di prediche moralizzatrici sui cattivi italiani evasori fiscali. Queste cose personalità politiche dotate di intelligenza come il presidente Giorgio Napolitano le sanno benissimo e le temono.
MONTI IN CAMPAGNA ELETTORALE? La dichiarazione odierna di Mario Monti rilanciata dall’Ansa, «Possibile ridurre le tasse entro questa legislatura», ha solo due possibili spiegazioni: o il presidente del Consiglio ha iniziato la sua personale campagna elettorale anche se insiste a dire che non si candiderà e che non governerà oltre la primavera del 2013, o il suo alto sponsor del Quirinale l’ha risvegliato dal suo sonno dogmatico “made in Bruxelles” con considerazioni di saggezza politica. Gli italiani del Nord non si sono mai sentiti tanto italiani come oggi, ma va ricordato che i numeri sono sempre numeri: mentre l’Italia presenta un debito pubblico pari al 120 per cento del Pil e la media Ue sta all’82 per cento, la regionalizzazione del debito italiano vede almeno tre regioni sotto quota 75 per cento. Si tratta di Veneto (74,8 per cento), Emilia-Romagna (73,3) e Lombardia (71,9). Sono dati migliori di quelli della Germania (82,4) e della Francia (84,7). Attenti a non tirare troppo la corda, o qualcuno fra Milano, Bologna e Venezia comincerà ad andare a lezione di catalano.