Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Un’amica mi chiede di non mangiare gli agnelli durante le feste pasquali. Il primo pensiero è stato: «La cultura dominante sentimentale si commuove per gli agnelli e non si accorge delle stragi di creature umane indifese». Poi ho pensato che davvero l’agnello è una creatura così dolce e mite che sembra una crudeltà ucciderlo. Mi è venuto in mente che l’Agnello di Dio è Gesù.
Da dove viene l’immagine dell’agnello? Certamente dal sangue dell’animale che salva gli israeliti dalle piaghe d’Egitto ed è all’agnello che si riferisce Isaia quando profetizza che il Messia sarà l’agnello condotto al macello. Infine Giovanni Battista indica in Gesù l’Agnello di Dio che prende su di sé i peccati del mondo. La morte di Gesù, agnello mite e innocente, riscatta dal peccato l’uomo che sceglie se stesso al posto di Dio e lo riconcilia col Signore indicando la via dell’amore. Una via che passa attraverso la sofferenza, il dono di sé ma poi conduce alla felicità e alla vita, sia in questa terra che nell’eternità.
L’istintiva pietà per il mite agnello mi ha condotto a considerare il mistero centrale dell’umanità: della caduta, della sofferenza e del riscatto. Ringrazio la mia amica animalista che mi ha aiutato a vivere meglio la Settimana Santa. Sembra che le folle continuino a preferire Barabba a Gesù ma in realtà il regno di Dio, grazie al sangue dell’Agnello, entra nei cuori e porta frutti fecondi. L’Agnello ucciso e risorto mi dà la fede e la forza per non vacillare di fronte all’aggressione.
Foto agnello da Shutterstock