È fra le persone che il giorno dopo l’ultimo discorso di papa Benedetto XVI ha riportato con fiducia quanto detto senza addentrarsi in dietrologie né aggiunte. Gian Guido Vecchi, vaticanista del Corriere della Sera, spiega: «L’ho seguito in questi anni e la mia esperienza mi dice che l’immagine data dai giornali, di un Papa solo chiuso nelle stanze vaticane a suonare il piano mentre fuori la Chiesa crolla è una caricatura, frutto di un modo di guardare pregiudiziale. Anzi, il suo realismo e la sua fede profonda lo hanno portato a dimettersi proprio per evitare di non riuscire più, in un momento delicato, come lui stesso ha motivato, a guidare la Chiesa in tutte le sue dimensioni spirituali, morali e di governo. Queste sono le sue parole e chi lo ha seguito e guardato senza preconcetti lo sa; Benedetto XVI dice sempre ciò che pensa in maniera cristallina. Non vedo perché fare dietrologie, quando le sue motivazioni, per altro ragionevoli, sono chiarissime».
Molti parlano di una Chiesa piegata dagli scandali, puntando il dito sulle miserie umane. Benedetto XVI nell’udienza ha parlato «della carità che circola realmente nel Corpo della Chiesa». «Vorrei che ognuno – ha spiegato – si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano». Ha insistito per tutto il suo pontificato parlando di Dio come carità, secondo lei perché?
Credo che la cifra principale di questo pontificato è stata una sola: richiamare la Chiesa all’essenza del cristianesimo. E la sua ultima udienza è stato l’apice, il sunto più alto di questo. Il più commuovente per me. Ha pronunciato una frase da brividi, che personalmente mi ha colpito moltissimo: «Sento di portare tutti nella preghiera, in un presente che è quello di Dio, dove raccolgo ogni incontro, ogni viaggio, ogni visita pastorale. Tutto e tutti raccolgo nella preghiera per affidarli al Signore: perché abbiamo piena conoscenza della sua volontà». La carità nella verità è l’essenza che lui ha rappresentato e che può rinnovare la Chiesa. L’ho percepito sempre nei viaggi e quando stava davanti alla folla che lo applaudiva festante.
Ai cardinali il 28 febbraio ha detto che la Chiesa è «un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino».
Nel suo primo discorso del 2005 fu accolto da un boato che lasciò esplodere per un po’, ma che fermò. Lo fece poi sempre, con voce pacata, e a tratti più accentuata, cominciando poi a parlare. Ha così educato i fedeli con le sue parole, piano piano, e con grande benevolenza a passare dal sentimento buono alla ragione di esso, a ciò che lo genera e fa durare. Appunto, la verità nella carità vissuti da papa Benedetto XVI come Cristo nel Vangelo. Il Cristo alla cui conoscenza, come attestato dalla sua ultima opera, ha dedicato tutta la vita.
Infine, un richiamo all’umiltà, a una Chiesa «che si risveglia nelle anime che, come la Vergine Maria, accolgono la parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo. Offrono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo». Una profezia di rinnovamento.
È così. Ha servito la Chiesa come lui stesso ha detto appena diventato Papa: «Sono un umile lavoratore nella vigna del Signore». E ugualmente si è ritirato per sostenerla con maggiore forza. Un grande intellettuale che si mette a servire è un vero gigante. Di solito, infatti, sono i mediocri a essere superbi, quelli che pensano già di sapere. Per lui invece la verità non è un’ideologia: non siamo noi a possederla, ma è lei che ci possiede, ha detto di recente. Questa onestà intellettuale, direi socratica da un punto di vista laico, è possibile solo ai veri sapienti. Solo chi si sottomette umilmente, come ha fatto lui, alla verità, diventa sapiente. Tra l’altro, questo è un antidoto sia al fanatismo sia al relativismo. Dal punto di vista cattolico la sua posizione è quella di San Paolo, afferrato da Cristo voleva conoscerlo: «La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta è la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà (…) Ora vediamo come in uno specchio in maniera confusa. Ma allora vedremo faccia a faccia». Questo ha sempre mosso Benedetto XVI, Qualcuno che conosceva ma che voleva conoscere di più.
Cosa l’ha colpita del Papa quando il 28 sera ha lasciato il popolo della Chiesa per sempre?
Sicuramente c’è stato un distacco, ma sul suo volto c’era una grande serenità. Sapeva che la sua era una scelta grave, eppure le sue ultime parole sono state: “Grazie. Buonanotte”. Trovo impressionante e stupendo che un Papa possa andarsene così, con tanta semplicità e tranquillità e togliendo ogni distanza.