Un piccolo volume allineato fra gli altri in libreria accompagna una sera d’estate. Ultime lettere da Stalingrado, 39 missive scritte ai familiari da soldati tedeschi nel loro assedio, e mai più tornati. Nel gelo, nella fame, mutilati, i soldati salutano la moglie e la madre.
E torna ripetutamente, fra le righe, il pensiero di Dio. Ad Auschwitz il Papa ha invocato «dov’era Dio?». Da Stalingrado, prossima a cadere, gli assediati fanno la stessa, inesorabile domanda. «Ho cercato Dio in ogni fossa, in ogni casa distrutta, in ogni mio camerata, quando stavo in trincea, e nel cielo. Dio non si è mostrato. Le case erano distrutte, i camerati tanto eroici o vigliacchi quanto me, sulla terra c’erano fame e omicidio e dal cielo cadevano bombe e fuoco. Soltanto Dio non c’era. No, padre, non c’è nessun Dio. So che è una cosa terribile e per me irreparabile. E se proprio c’è un Dio, è solo nei libri dei salmi e nelle preghiere, nelle pie parole dei preti e dei pastori, nel suono delle campane e nel profumo dell’incenso. Ma a Stalingrado, no». Un altro: «Non credo più che Dio possa essere benigno, altrimenti non permetterebbe una tale ingiustizia. Non credo più in Dio, perché ci ha traditi».
Auschwitz, Stalingrado, la sacca del Don. Milioni di uomini, in tutte le lingue, negli stessi giorni si domandavano che ne fosse, di Dio. Solo in undici, scrive un cappellano tedesco, attorno a un altare di cassette, nella notte di Natale del 1942 a Stalingrado. Gli altri compagni in quella notte ammutoliti: «Dio, ci ha traditi».
Richiudi il libro e pensi a tuo padre, reduce dal Don. Mai, mai in trent’anni ti ha parlato di Dio. Figlio di una madre profondamente cristiana: eppure, quanto a Dio, un assoluto silenzio. Ora hai capito, forse. Tuo padre era uno di loro, uno di quella generazione che nello strazio di un fronte o di un lager si pensò abbandonata. E di Dio non volle più dire una parola – come non si parla del tradimento di una donna amata. Quanti uomini così segnati ha lasciato la guerra, come un colpo di maglio sulla fede dell’Europa rinascente? Quante lettere a casa, come un testamento: «A Stalingrado, no»? E ora capisci che il silenzio di tuo padre era per non contagiarti di quel dubbio. Non voleva, ai suoi figli, dire della vertigine dell’abbandono, nella sacca del Don. Sperando che loro non lo conoscessero mai. Che Dio non tornasse mai più a nascondersi in una notte infinita, come nelle lettere partite con l’ultimo aereo da Stalingrado.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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