«In Pakistan i cristiani sono trattati come cittadini di serie B, soprattutto quando ci sono casi di blasfemia». Così Sardar Mushtaq Gill, avvocato di Asia Bibi, commenta a tempi.it la sentenza con cui il giudice Anwar Ul Haq ha confermato ieri la condanna a morte per la donna cattolica. Il giudice ha «rigettato la nostra richiesta di appello» e ora per la donna rimane un’ultima strada: il ricorso alla Corte suprema.
ACCUSA PER SENTITO DIRE. Asia Bibi è stata condannata a morte in primo grado «in base all’articolo 295 C del codice penale» l’8 novembre 2010 per presunte affermazioni blasfeme rivolte a due sorelle che lavoravano i campi con lei. La blasfemia in Pakistan può essere punita con la pena di morte. Il suo principale accusatore è un imam, Qari Muhammad Sallam, che l’ha denunciata cinque giorni dopo i fatti ammettendo di non aver sentito di persona gli insulti «a Maometto e al Corano». Un’accusa per sentito dire basta a tenere Asia Bibi in carcere da oltre cinque anni.
«CLIMA NEGATIVO». «Il giudice ha confermato le accuse anche se sono false – continua l’avvocato Gill – dopo aver considerato a fondo i nostri documenti. Non so perché l’abbia fatto ma questo è un processo molto delicato, che è stato rinviato già molte volte. È chiaro che ci sono dei problemi. Io non so se il giudice sia corrotto o se sia stato minacciato ma il clima attorno a questo processo è molto negativo».
«MINIMO DUE ANNI». Ad Asia Bibi ora resta solo la Corte suprema e l’avvocato Gill è ancora fiducioso: «Ho promesso di fare tutto quanto in mio potere per aiutare Asia Bibi. Quindi non abbiamo altra scelta che ricorrere in secondo appello alla Corte suprema del Pakistan». I tempi però si allungheranno ancora: «Ci vorranno come minimo altri due anni, durante i quali Asia Bibi dovrà restare in prigione. Non ho ancora parlato con lei, per la famiglia (marito e cinque figli, ndr) è stato un duro colpo».