A ridatece i puzzoni! Dopo sedici mesi di agitazioni e sommosse, il lungo blocco dei conti correnti, i giri di tango dei presidenti provvisori succeduti a quello legittimo costretto a scappare in elicottero per sottrarsi all’ira popolare, la “rivoluzione anticapitalista” annunciata dai No global di tutto il mondo a partire da Buenos Aires, i “disobbedienti” che andavano addirittura a prendere lezioni di blocco stradale dai piqueteros del Plata, le collette dei Ds per dare da mangiare ai bambini affamati delle vilas miseria, lo scandalo dei morti per denutrizione negli ospedali, il popolo argentino è andato infine al voto, e ha mandato al ballottaggio due peronisti. E che peronisti! è arrivato secondo infatti Nestor Kirchner, l’uomo di paglia del presidente Eduardo Duhalde. Quello che dopo aver perso le elezioni col radicale Fernando De la Rúa è stato poi proiettato alla Casa Rosada dalla già citata fuga di De la Rúa in elicottero, ed è talmente impopolare che non ha avuto neanche il coraggio di ricandidarsi di persona.
Gli eredi di Peron
E al primo posto c’è poi Carlos Saul Menem, l’ex-presidente finito addirittura in carcere per una storia di traffico d’armi in favore di Croazia e Ecuador, e ufficialmente vituperato da tutti per “aver venduto il Paese agli stranieri”. Ma nel segreto dell’urna, per parafrasare quello che si diceva da noi una volta, l’intellettualume con la puzza sotto al naso non vede, mentre la pancia brontola, ricordando i tempi beati in cui col peso equiparato al dollaro “si mangiava asado tutte le domeniche”. è vero: Menem non ha fatto altro che aggiornare all’era del Consenso di Washington i vecchi sistemi del generale di cui si considera l’erede. Perón, quadruplicando gli stipendi e facendo spedire da Evita macchine per cucire e giocattoli, “ridistribuiva” la valuta che l’Argentina aveva accumulato durante la Seconda Guerra Mondiale rivendendo carne e cereali ai Paesi in guerra a prezzi, appunto, “bellici”; il “turco”, invece, faceva credere alla gente di avere stipendi da yankees finanziando la parità col dollaro a colpi di privatizzazioni. E tutti e due, una volta finita la cuccagna, hanno lasciato il conto da pagare ai loro successori.
Ma non è che le proposte alternative fossero gran che. López Murphy, il destro venuto da sinistra pompato nei sondaggi, prometteva “lagrime, sudore e sangue”, come se gli argentini non ne avessero già assaggiate abbastanza. Rodríguez Saá, il terzo peronista, era quello che invece nella settimana in cui era stato presidente aveva rotto col Fondo Monetario Internazionale con un tono come se fosse questo ad aver bisogno dell’Argentina, e non viceversa. E non parliamo di Elisa Carrió, l’altra transfuga radicale che è andata a farsi la comunione dopo il voto e che ha fatto saltare un fronte di sinistra per la sua opposizione all’aborto, ma che aveva talmente il vizio di pensare che i problemi politici di un Paese si risolvono cercando di mandare gli avversari in galera per corruzione, da rendersi infine ridicola per la sfilza di patacche scandalistiche che le hanno rifilato.
Soldi a perdere
Né fine troppo migliore hanno fatto i sogni pur generosi di una nuova economia che nascesse dal basso, attraverso l’auto-organizzazione dei poveri. Le grandi reti di trueque, i mercatini per il baratto di beni e servizi in cui pure si era manifestata una grande iniziativa imprenditoriale dal basso, hanno finito per fallire, per colpa delle troppe falsificazioni dei buoni di scambio adottati come monete alternative. E quando poi le banche hanno di nuovo concesso ai titolari di ritirare i propri depositi dopo un anno di blocco, cos’hanno fatto quasi tutti se non lasciare tranquillamente i loro soldi ormai svalutati negli istituti contro cui avevano minacciato tanti sfaceli?