Anziché ritrattare, Debka Files ha rilanciato: non solo i cinesi avrebbero mandato nel Mediterraneo la loro portaerei Liaoning per dare manforte ai russi impegnati in un intervento militare in Siria, ma da qualche giorno avrebbero annunciato la loro disponibilità a partecipare ai bombardamenti dal cielo con i loro “squali volanti”, il nome con cui sono conosciuti i cacciabombardieri cinesi Shenyang F-15. Essi non sarebbero attualmente imbarcati sulla Liaoning, ma la raggiungerebbero volando attraverso lo spazio aereo di Iraq e Siria.
INFORMAZIONE E PROPAGANDA. Il sito di intelligence militare vicino ai servizi segreti israeliani è noto per mescolare informazioni veritiere con molte altre inaffidabili, apparentemente volte a influenzare le decisioni politico-militari israeliane a favore dei “falchi” nell’establishment politico e militare. Nessun altro organo di stampa internazionale ha confermato queste notizie, il che fa pensare a disinformazione per uso politico interno: «La piega che ha preso la situazione ha un accentuato effetto negativo sulla posizione strategica e militare di Israele», si legge nel primo dei due pezzi. Un paio di settimane fa lo stesso sito annunciava la partecipazione congiunta di forze speciali russe e combattenti libanesi Hezbollah a una fantomatica battaglia intorno a un aeroporto militare nella regione di Aleppo che l’esercito siriano cerca disperatamente di difendere dall’assedio dell’Isis. Il messaggio sottinteso, anche allora, era chiaro: i russi fanno squadra coi nemici di Israele, il governo e le forze armate devono reagire prima che la posizione del paese si indebolisca.
CONVERGENZA REALE. Tuttavia quella di Debka Files non può essere classificata esclusivamente come pura e semplice intossicazione. Anche quando rivelano di essere strumenti di propaganda, le “informazioni” del sito internet israeliano alludono a quadri strategici reali. Che l’intervento russo in Siria abbia il placet di Pechino, nonostante le prudenti dichiarazioni del ministro degli Esteri cinese alle Nazioni Unite, è assolutamente certo. Dall’inizio della crisi siriana nel marzo 2011, le posizioni di Russia e Cina su questo argomento all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu hanno sempre coinciso. Recentemente (mese di settembre) navi russe ed egiziane hanno condotto manovre nel Mediterraneo con navi della 152esima flotta cinese: il cacciatorpediniere Jinan, la fregata Yiyang e la nave d’appoggio Qiandaohu.
IL PROBLEMA UIGURO. A New York la recente sessione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite ha visto un incontro fra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il suo omologo siriano Walid Muallem. Al termine il dirigente cinese ha dichiarato che la Cina è convinta che la comunità internazionale debba rispettare la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale della Siria: è la stessa linea politica di Mosca, che per tradurre le parole in fatti ha dato vita a un intervento militare. I cinesi hanno in comune coi russi preoccupazioni di medio e lungo periodo. La preoccupazione di medio periodo è che la partecipazione di una cifra stimata attorno al migliaio di cittadini cinesi alle avventure militari e politiche del califfato di Abu Bakr al-Baghdadi – si tratta di musulmani di etnia uigura della regione dello Xinjang – abbia come ricaduta un ritorno di fiamma di attività jihadiste sul territorio cinese: la stessa preoccupazione che i russi nutrono riguardo ai combattenti ceceni e di altre etnie del Caucaso, divenuti militanti dell’Isis e di Jabhat al Nusra.
NUOVA GUERRA FREDDA? Ma oltre a questo c’è la preoccupazione di lungo periodo: contrastare l’egemonia americana, che uscirebbe rafforzata dalla caduta di un regime filo-russo (quello di Bashar el Assad) a vantaggio di forze locali subalterne a Turchia e Arabia Saudita, alleati degli Stati Uniti. Infatti Russia e Cina fanno parte dell’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione, associazione per la sicurezza collettiva dei due paesi suddetti e di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan (più altri sei paesi osservatori) e soprattutto del gruppo dei Brics, i cinque paesi (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che dal 2010 si coordinano per creare un contrappeso politico, economico, militare e finanziario al predominio del mondo occidentale sotto la guida degli Stati Uniti d’America. Il politologo pro-Putin Rostislav Ishchenko ha fatto recentemente notare che Stati Uniti e Russia sono impegnati, come ai tempi della Guerra fredda, in una gara per la creazione della coalizione internazionale più grande in vista di una sfida bipolare che non è più a sfondo ideologico, ma per il controllo delle sempre più scarse materie prime.
LA RUSSIA E I BRICS. Analizzando i voti all’assemblea delle Nazioni Unite e al Consiglio di Sicurezza, si evincerebbe che i paesi che votano normalmente in sintonia con la Russia rappresentano il 60 per cento del Pil mondiale, contro il 40 per cento degli Stati Uniti e dei loro alleati (Unione Europea, Giappone, Canada e Australia). Per occupare un posto di prestigio nella coalizione rivale dell’Occidente la Russia non può più contare sul primato ideologico, né su quello economico (ben tre dei quattro paesi suoi partner nei Brics presentano un Pil superiore a quello russo). Ricorre allora all’unico asset nel quale davvero eccelle: quello militare, che la vede al terzo posto nel mondo dopo America e Cina per spesa nel settore. Eccellenza relativa: la spesa militare russa resta sette-otto volte inferiore a quella americana.