«A Beethoven manca il ritmo. Quello lo possiede Jovanotti». A parlare in modo così irriverente – per usare un eufemismo – è stato la settimana scorsa il pianista Giovanni Allevi. Durante un incontro del Giffoni Film Festival, il celebre musicista ha spiegato la sua tesi raccontando un aneddoto della sua vita. «Stavo ascoltando la Nona di Beethoven quando un bambino accanto a me mi chiese quando sarebbe finita, perché non gli piaceva. Perché alla musica classica manca il ritmo. Che invece ho incontrato e capito lavorando con Jovanotti. Per quello piace ai giovani, perché ha ritmo». Poi ha parlato della sua emarginazione: «Non posso entrare in molti conservatori italiani. Molte persone autorevoli mi considerano un impostore».
LAPIDATO. Dopo aver rischiato la lapidazione mediatica per i suoi pensieri, e aver dato la colpa ai giornalisti per avere travisato quanto detto, Allevi è arrivato a scusarsi per le sue affermazioni. Lo ha fatto ieri sera all’auditorium di Roma aprendo la sua performance con il primo passaggio della Quinta sinfonia del celebre tedesco. Allevi ha però un po’ esagerato nel metterci “la pezza”: «Nutro una sconfinata ammirazione per il grandissimo Maestro Beethoven, che ha segnato un fondamentale passaggio nella storia della musica. Lo ammiro non solo per la straordinaria musica composta, ma anche per quello che ha rappresentato, perché da un certo punto della sua vita Beethoven si è ribellato alle logiche di corte, si è ribellato a quella logica di potere della committenza che lo giudicava e lo imbrigliava».