Agacinski contro la “guerra santa” dell’islam politico in Francia
Parigi. Da quando si è espressa contro la Pma per le coppie omosessuali e la pratica dell’utero in affitto, Sylviane Agacinski non è più, per la gauche, la grande star del femminismo, ma una “celebre omofoba e transfoba”, infrequentabile, uscita per sempre dal girone repubblicano. Nel 2019, dinanzi alle minacce e alle proteste violente di alcuni sindacati Lgbtq, l’Università di Bordeaux decise di annullare una sua conferenza perché non poteva garantire la sicurezza dell’evento. Moglie dell’ex premier socialista Lionel Jospin e autrice di saggi dirompenti come Corps en miettes e Le tiers-corps, disse non aver «mai visto nulla di simile» in tutta la sua vita. «Questo clima di intimidazione è recente. C’è una forma di terrore intellettuale che altera gravemente lo stato del dibattito pubblico. È diventato molto difficile dibattere in Francia», aggiunse.
Il nuovo libro di Sylviane Agacinski contro l’islam politico
Da quel momento le sue apparizioni pubbliche sono state più rare, ma nella discrezione della sua dimora parigina ha continuato a mettere nero su bianco le sue riflessioni su un paese che non riconosce più, quello che aveva accolto a braccia aperte i suoi genitori di origini polacche, dove l’assimilazionismo era il modello d’integrazione per tutti, a prescindere dalle origini, e “l’islamofobia” e “il multiculturalismo” erano ancora due concetti sconosciuti.
Con Face a une guerre sainte (Seuil), titolo del suo ultimo libro, Agacinski analizza e denuncia senza freni politically correct la “guerra santa” condotta dall’islam politico e dai suoi utili idioti occidentali sul suolo francese: un guerra combattuta a suon di accuse di “islamofobia”, il bavaglio con cui si impedisce qualsiasi critica alla religione musulmana, di propaganda pro velo e di provocazioni cultuali e culturali contro una République arrendevole, che non sa più difendere i suoi valori.
Il velo? «Pratica sessista»
Sulla questione del velo, utilizzato dagli islamisti come arma, e di quello che lei definisce il “velamento della società”, usa termini molto duri. «Sono gli stessi islamisti che hanno ormai raccomandato di trattare la questione del velo non più come un obbligo religioso, ma dal punto di vista del “diritto delle donne di scegliere”. È una strategia giuridica. In realtà, il velamento non è altro che una pratica sessista, discriminatoria e solidale con un ritorno del Patriarcato difeso dagli islamisti”, ha spiegato alla Croix Sylviane Agacinski. Insomma, la lotta contro l’uso politico del velo dovrebbe essere in cima alle priorità delle femministe contemporanee: che sono invece, per un folle cortocircuito ideologico, le principali alleate degli islamisti.
«La legge del 2004 contro il velo a scuola e quella del 2010, che vieta di nascondere il viso, ricorda a tutti che gli uomini e le donne hanno gli stessi diritti. Nessun’altra cultura religiosa, in Francia, può imporre una messa sotto tutela delle donne. Questo sessismo è inammissibile, tanto quanto il razzismo», sottolinea Agacinski. Assieme al velo, l’islamofobia è, secondo la femminista francese, l’altro strumento attraverso cui gli islamisti sono riusciti a mettere a tacere, o a far passare per razzista, chi allerta l’opinione pubblica sulle derive dell’islam e chi mette in guardia dall’“utopia multiculturale”: dall’idea che culture diversissime possano coesistere pacificamente sullo stesso territorio.
Agacinski contro l’universalismo utopico di Habermas
«Una cultura religiosa che instaura una diseguaglianza tra uomini e donne non è compatibile con la nostra cultura giuridica», tuona Agacinski, da sempre molto critica contro il modello multiculturale di ispirazione anglosassone, che nulla ha a che vedere con l’assimilazionismo francese di cui lei stessa, e i suoi genitori, sono i prodotti perfetti. Nelle pagine di Face à une guerre sainte Agacinski è molto severa anche con «l’universalismo utopico e disincarnato» difeso dal filosofo preferito di Emmanuel Macron, il tedesco Jürgen Habermas: universalismo che contribuisce allo «svuotamento della nazione come entità storica».
Il “patriottismo costituzionale” di Habermas, ossia l’abbandono di qualsiasi idea di cultura maggioritaria e l’inclusione dello straniero senza nessuna richiesta di adattamento ai costumi del paese di accoglienza, produce una doppia dissoluzione: esterna, con la prospettiva du uno stato post nazionale, interna, con la promozione del multiculturalismo. «La questione dell’integrazione degli stranieri in una nazione – deplora Agacinski – è risolta dalla disintegrazione della nazione». Una frase che non piacerà al partito dell’utopia multiculturale e dell’accoglienza indiscriminata.
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