
Adesso dovremmo berci la balla che Palamara è un caso di “mela marcia”?

L’epopea della fase 2 / 14
Il caso Palamara è un “incidente” che da sassolino (il braccio di ferro tra le correnti dell’Anm sulla poltrona al vertice della procura di Roma) si è trasformato in valanga. Tutto come avevamo previsto qui a Tempi. Ora siamo al trionfo dell’ipocrisia. Mentre ciò che dovrebbe trionfare è la giustizia in veste finalmente riformata. Per fuoriuscire da un trentennio di disastro giustizialista. Con l’uso dell’ideologia del “fare pulizia” e dell’“anticorruzione”, per coprire il puro, semplice e terribile potere sulla società Italiana di una corporazione che non è mai stata né migliore né peggiore della politica: ne era semplicemente diventata il guardiano e il padrone (in compagnia naturalmente dei reggicoda giustizialisti che han fatto soldi e carriere nei giornali).
Che succede adesso? Sembra che i presunti “puri” siano stati traditi da un cattivone corrotto e corruttore? Chiaro che Luca Palamara non ci sta a farsi rappresentare, da colleghi e giornalisti che fino al giorno dell’“incidente” gli leccavano i piedi, come la mela marcia della categoria. Ma come? Dopo anni di onorato servizio alla corporazione togata. Dopo che da sindacalista principe ha saputo militarizzare l’informazione e imporre alla politica i desiderata dell’Anm. Dopo che i colleghi impegnati nella gestione delle carriere si sono per anni rivolti a lui a impetrare un favore, un contatto giusto, uno scatto di carriera. Dopo che da sensale degli accordi tra le correnti, gli si è riconosciuta la capacità di dare “a ciascuno il suo”.
Dopo tutta questa epopea di egemonia totale dell’Anm anche grazie a lui, Luca Palamara, pubblico ministero «innamorato del mio mestiere» ma anche sindacalista, innamorato della funzione egemonica della magistratura e della gestione degli interessi di ciascuno e tutti i magistrati iscritti alla Anm; ecco, dopo tutto questo popò di mondo reale sapidamente e retoricamente nascosto dietro i proclami ideali, l’autonomia e l’indipendenza, i “resistere, resistere, resistere” fino ai cinquestelle guardie rosse del potere togato (o come ha scritto Paolo Mieli: «La politica è con le spalle al muro. Il potere sono loro, i magistrati che hanno in mano le correnti»), si scandalizzano se Palamara scoperchia il vaso di Pandora e informa che «certo non farò da capro espiatorio» e che «non penserete che ho fatto tutto da solo»?
In quelle 60 mila pagine di intercettazioni c’è dentro di tutto e ci sono dentro tutti. Cosa farà adesso il Csm? L’inquisizione sovietica per evitare una normale riforma da Stato di diritto? Il polverone del “repulisti” nel solito stile gattopardesco di Lampedusa, ovvero il far finta di cambiare tutto per non cambiare niente? In verità siamo in pieno cuore di tenebra e c’è un solo modo di uscirne, per sconfiggere lo stato permanente di sovversione della democrazia in cui viviamo da trent’anni, all’ombra di un potere giudiziario totale e di un potere giornalistico colluso. Che lungi da fare il mestiere di guardiano dei fatti ha svolto il mestiere di servo dei nuovi padroni (e chissà se l’Ordine dei giornalisti si interesserà ai nomi di giornalisti di grandi giornali presenti in quelle 60 mila pagine di intercettazioni; chissà se processerà come processò Renato Farina anche l’illustrissimo collega che nei brogliacci viene definito «uomo dei servizi»).
Quanto alla riforma della giustizia sembra chiaro – almeno alle persone ragionevolmente informate e alla magistratura più equilibrata – su quali linee dovrebbe esercitarsi. Cito un autorevolissimo magistrato.
Premesso che
«il Csm è diventato la cinghia di trasmissione di decisioni prese dall’Associazione nazionale dei magistrati».
E premesso che
«i magistrati, le correnti si sono trasformati in cinghia di trasmissione della lotta politica. Si tratta della conduzione, con altri mezzi, della lotta partitica all’interno del Csm».
Premesso tutto ciò,
«è indispensabile trasparenza, il dialogo con i politici deve avvenire alla luce del sole, in modo che risulti chiaro che le scelte prescindono dall’appartenenza ad una corrente politica piuttosto che ad un’altra».
La riforma urgente oltre a quella del Csm implicita nelle premesse sopra?
«Ecco, io credo che il pm debba essere parte, anche se quando se ne parla sembra sempre di affrontare un tabù, e l’Associazione nazionale magistrati grida allo stravolgimento dell’ordinamento giudiziario. Invece, se vogliamo essere adeguati ai tempi, dobbiamo fare autocritica e ridiscutere tutto. Il nuovo magistrato deve essere più responsabile e dunque servono una specifica preparazione, uno specifico addestramento, una diversa progressione in carriera per pubblici ministeri e giudici. I tempi sono ormai maturi per cambiare. Questa è la sfida dei prossimi anni».
Ecco, in sintesi questo autorevolissimo magistrato ci sprona a riformare il Csm, chiede dialogo nella trasparenza con la politica, non sotterfugi per manomettere e quindi dominare la politica. Infine sostiene che è l’ora di un rinnovamento profondo della magistratura e accenna alla necessità di affrontare finalmente la separazione delle carriere tra pm e giudici.
Piccolo particolare a conferma della montagna di ipocrisia e falsità dello scandalo Palamara: il virgolettato è di Giovanni Falcone, il grande Falcone che ogni anno viene celebrato in piazza con retorica di regime. E sono virgolettati del 20 maggio 1990, Repubblica, intervista a Silvana Mazzocchi.
Capite che 30 anni dopo (30 anni!) siamo ancora lì, fanno finta che Palamara sia un caso di “mela marcia”, raccontano balle, siamo nel 2020, era già tutto chiaro nel 1990 che la giustizia andava riformata?
Dubbi inquietanti sorgono. Falcone era ed è considerato unanimemente uno dei magistrati più illuminati e, come si è visto, più coraggiosi. Lo hanno ammazzato due anni dopo. Lo stesso anno in cui hanno iniziato ad ammazzare anche lo Stato di diritto. Sono passati trent’anni: vogliamo fare una giusta riforma della giustizia come da auspicio di Giovanni Falcone? O volete continuare nella sceneggiata ormai trentennale, cioè quella del cambiare tutto per non cambiare nulla?
Foto Ansa
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