Si moltiplicano gli effetti dello scandalo generato dalla serie di filmati “undercover” che accusano Planned Parenthood di fare soldi grazie al commercio illegale di organi dei bambini abortiti. La possibilità che il parlamento americano, proprio a causa delle rivelazioni contenute nella video-inchiesta del Center for Medical Progress (Cmp), arrivi davvero a bloccare i sostanziosi finanziamenti pubblici garantiti da anni al colosso delle cliniche abortive spaventa i vertici dell’organizzazione da averli spinti a rinunciare al “financial benefit” che attualmente le sue strutture traggono dalla cessione dei tessuti fetali ai laboratori di ricerca (la prova del profitto prodotto dalla vendita illegale, secondo il Cmp; un semplice «rimborso» a fronte delle spese sostenute per la «donazione», secondo Planned Parenthood).
LA RINUNCIA. In una lettera al direttore dei National Institutes of Health (Nih), l’agenzia per la ricerca biomedica del dipartimento della Sanità del governo Usa, la presidente della Planned Parenthood Cecile Richards ha scritto: «Al fine di sgonfiare del tutto l’argomento che i nostri avversari hanno utilizzato in malafede, e per rivelare il reale intento politico dei loro attacchi, la nostra federazione ha deciso, per il futuro, che ogni centro per la salute di Planned Parenthood coinvolto nella donazione di tessuti alla ricerca medica dopo un aborto seguirà il modello, già in vigore presso una delle nostre due cliniche affiliate che attualmente agevolano le donazioni. Il nostro socio non accetta alcun rimborso per le spese – sebbene il rimborso sia pienamente consentito dalla legge».
CONFESSIONE INVOLONTARIA? È un passo tutt’altro che insignificante, considerato che dall’inizio della tempesta mediatica, e anche durante il dibattito al Congresso sullo stop ai finanziamenti, l’organizzazione si è sempre difesa dicendosi «orgogliosa» del proprio operato «a favore della ricerca». Ma allora perché sospendere “i rimborsi” degli organi? Se lo è chiesto per primo David Daleiden, direttore del Cmp. «Questo fatto – è la sua risposta – dimostra quanto abbiamo sempre sostenuto: Planned Parenthood non sostiene alcun costo reale, e i pagamenti per gli organi fetali raccolti hanno sempre rappresentato un margine di profitto aggiuntivo».
LE CIFRE IN GIOCO. Comunque sia, le oltre 13 mila cliniche abortive sparse sul territorio statunitense sono state finanziate in tre anni con almeno 1,5 miliardi di dollari dei contribuenti, come ha ricostruito nello scorso marzo un rapporto del Government Accountability Office, l’ufficio del Congresso che vigila sul corretto utilizzo dei fondi del governo federale. Una somma che in paragone rende esiguo il ricavato della vendita di organi, e che se dovesse venir meno porterebbe al collasso l’impresa leader dell’industria dell’aborto americana e mondiale.
LA CAMPAGNA PER IL “DEFUND”. A fine settembre, per evitare la paralisi dell’amministrazione federale e dopo un duro scontro alla Camera, il Congresso di Washington ha approvato il proseguimento dei finanziamenti fino a dicembre, chiamando però i legislatori a decidere come regolare i sussidi futuri. Nel frattempo la deputata repubblicana Diane Black ha proposto un disegno di legge, il Defund Planned Parenthood Act, che farebbe scattare una moratoria alle pubbliche erogazioni verso Planned Parenthood per l’intero 2016, finché le indagini del Congresso sui fatti imputati all’organizzazione non siano terminate.
IN EUROPA. E nei giorni scorsi l’onda dello scandalo ha attraversato l’Atlantico ed è arrivato in casa nostra. Ieri l’associazione Alliance Defending Freedom ha organizzato al Parlamento di Strasburgo un evento pubblico per raccontare ai deputati europei cosa sta succedendo oltreoceano. Un incontro seguìto alla decisione, da parte de presidente del Parlamento, il socialista Martin Schulz, di prendere in esame la richiesta avanzata da alcuni eletti e da varie associazioni per la vita: la proposta è quella di bandire dal registro delle lobby Ippf (la sezione europea di Planned Parenthood), togliendole qualunque possibilità di accedere ai fondi comunitari.
Foto Ansa/Ap