La preghiera del mattino
L’abissale differenza tra Berlusconi e i demagoghi che ci rimangono
Su Formiche Pino Pisicchio scrive: «Dal punto di vista antropologico Berlusconi si rappresentò come le sue tv, la sublimazione dell’italiano medio che ha fatto fortuna, un self made man meneghino che ha in famiglia anche qualche lontano parente immigrato dal Sud a Milano (e perciò tendenzialmente leghista), capace di distribuire buon senso, sogni».
Pisicchio coglie un punto centrale nel carattere di Silvio Berlusconi: la sua umanità, che è poi anche la dote che sottolinea con intelligenza il vescovo di Milano Mario Delpini. In qualche modo un nostalgico della Dc rende così omaggio al fondatore di Forza Italia, riconoscendogli la capacità ormai singolare di parlare alla gente comune. Un tempo c’erano i Nenni, i Pajetta, i Di Vittorio, un Giulio Andreotti, personalità pubbliche nelle quali appunto la gente comune si immedesimava. La capacità di una reale sintonia con il popolo sembra oggi essersi largamente smarrita. Certo, ci non mancano i demagoghi, come quel pagliaccio che si è fatto fondatore di un movimento, o i tristi figuri dello spettacolo giustizialista che sanno agitare anche grandi masse, ma ci riescono distribuendo odio e rancore, non speranza ed empatia. Ecco un’eredità berlusconiana non facile da raccogliere.
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Su Affaritaliani Luigi Bisignani dice di Mediaset: «Finirà come la Fiat, smembrata e all’estero».
A proposito dell’eredità berlusconiana, non è inutile ascoltare Bisignani, testimone delle nostre cose italiane, informato e intelligente, a cui non sempre è prudente, però, credere senza prove consolidate.
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Sulla Zuppa di Porro Carlo Mario Rossotto scrive: «Nei prossimi giorni, la Regione Lombardia organizzerà una conferenza per ricordare il grande intellettuale ed esperto di media. Antonio Pilati ci ha lasciato la scorsa estate, prematuramente. Mi permetto di ricordare un aspetto della personalità di Antonio – forse meno noto – che ne dimostra la spontanea umanità: “Ho avuto la fortuna di lavorare a stretto contatto con Antonio per tre anni, negli anni Novanta, all’Istituto di Economia dei media. Iniziai con uno stage. Ero di gran lunga il più giovane, un laureando della Bocconi con l’interesse per la comunicazione e per quel settore settore che sarebbe diventato il “digitale”. Mi ricordo il primo incontro. Antonio mi colpì per la sua gentilezza, la semplicità (tipica dei grandi pensatori), con la quale mi spiegò il modello di analisi dell’economia dei media italiani. Condivise subito molti contatti di dirigenti, esperti che avrebbero facilitato la mia analisi dei dati. Un grande esperto che non si sentiva per niente minacciato dai giovani, ma che amava sempre confrontarsi».
È quasi un anno che Antonio ci ha lasciato. Come Rossotto, sento anch’io la mancanza di un amico così colto, aperto e intelligente. Chi può (e non è su un’isola greca come me), farebbe bene a recarsi domani mattina il 16 giugno a Milano in via Fabio Filzi al 22, nel Palazzo del Consiglio regionale, dove si discuterà del “sistema dei media e il pensiero di Antonio Pilati”. Tra gli altri interverranno Attilio Fontana e Fedele Confalonieri.
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Sul Post si riporta questa frase di Cormac McCarthy: «La maggior parte delle persone non ha mai visto la morte di qualcuno. Un tempo crescendo in una famiglia si vedevano morire tutti. Morivano nei propri letti, a casa, con tutti attorno. La morte è la questione principale. Per tutti. Non essere in grado di parlarne è strano».
Ecco una frase di uno dei più grandi scrittori dei nostri tempi, scomparso proprio l’altroieri, adatta a giorni non privi di lutto come questi.
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