Luigi Abete, presidente della Bnl su indicazione del Tesoro prima della sua privatizzazione e da allora confermato, più di tanti altri esponenti del big business è l’emblema di un’epoca. Quella di una classe imprenditoriale media anzi piccola, ben inserita all’ombra della “vecchia” politica. Veicolo della crescita, Confindustria, anzi il gruppo dei giovani industriali di Roma che Luigi “rifondò” a metà degli anni ‘70, da cattolico che guardava a sinistra. La presidenza nazionale dei giovani, in epoca di solidarietà nazionale, nel ‘78 venne di conseguenza. E tutti gli anni ‘80 furono finalizzati in Confindustria al colpo finale. L’ascesa alla presidenza di viale dell’Astronomia, negli anni di fuoco di Tangentopoli e del crollo dei partiti, dal ‘92 al ‘96. Passione referendaria e per il maggioritario da una parte, simpatia esplicita verso l’alleanza tra cattolici progressisti e Ds, queste le coordinate politiche della sua presidenza. A metà, una rovente sconfitta. Quando nel marzo ‘94 Gianni Agnelli pronuncia la fatidica frase «se Berlusconi vincerà le elezioni, avremo vinto tutti, se le perde avrà perso da solo», Abete riservatamente protesta con veemenza. Pochi mesi dopo, si prende la rivincita. A ottobre, Agnelli invita Berlusconi a procedere con la sua riforma delle pensioni. Ma nel frattempo la Confindustria di Abete frena, frena tanto che quando i sindacati portano a San Giovanni un milione di iscritti, Abete “molla” il governo in nome della pace sociale. Con la presidenza Bnl il vincolo di gratitudine sarà meglio compensato, e un ruolo in Confindustria, più solido della sola veste di “presidente emerito”, meglio assicurato. Ma proprio in Confindustria, da che il vento gira due anni fa con l’elezione a sorpresa di Antonio D’Amato, Abete è tra i grandi perdenti. Come presidente della Bnl, sulla gestione è al riparo dalle critiche dietro il solido scudo dell’amministraore delegato Davide Croff. Malgrado i guai ci siano stati, tra Argentina e non solo, il bilancio 2001 ha segnato una diminuzione degli utili sul precedente del 93%, e il rappooto tra utile netto e margine d’intermediazione è stato pari a 1: Mediobanca ha totalizzato 44,5, il Sanpaolo 20, persino la non brillante Banca di Roma un 2,6. Peggio ha fatto solo Bipop-Carire, che è stata mangiata da Cesare Geronzi. I 360mila euro di compensi dichiarati ad Abete non sono in cima alla lista dei compensi dei manager bancari, ma il titolo da inizio d’anno perde un altro 25 per cento. E sulle spalle di Abete, prima di tornare a seguire la politica più da vicino, c’è la risposta da dare alle profferte matrimoniali del Montepaschi. Un’unione di cui tanto si parla da due anni, e che oggi la Bnl è tornata a non volere, capitalizzando meno della metà dei senesi. Qualcuno pensa che possa tornar fuori l’offerta di nozze a Bnl fatta da Unicredit ai tempi di Rondelli. Ma Antonio Fazio non sembra molto d’accordo. E Abete sa che, finchè almeno è alla testa di una banca, il “potere forte” di via Nazionale non è sensibile ai contributi elettorali che, all’ultima campagna elettorale, il presidente di Bnl non fece mancare al comitato elettorale di Francesco Rutelli. Serve altro.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi