42 anni e 56 milioni di aborti dopo, in America perfino i pro choice sono sempre più pro life
Ieri, alla vigilia del 42esimo anniversario della “Roe vs Wade”, la sentenza che di fatto aprì la strada ai 56 milioni di aborti registrati fino a oggi negli Stati Uniti, il cardinale americano più vicino a papa Francesco, Sean O’Malley, ha celebrato a Washington una Messa in vista della Marcia per la Vita (in programma per oggi) ricordando che «dobbiamo lavorare senza stancarci per cambiare le leggi ingiuste, ma dobbiamo lavorare ancor più instancabilmente per cambiare i cuori». Proprio in questi giorni la casa produttrice Heroic Media, legata al movimento “pro life” americano, ha pubblicato un video che sembra voler incarnare esattamente le parole dell’arcivescovo di Boston.
The Apology from John Blandford on Vimeo.
PADRI PENTITI. I protagonisti del filmato sono tre padri pentiti – di qui il titolo Apology – perché invece di «combattere» hanno scelto con le loro donne la via dell’aborto. Gli uomini raccontano la sofferenza per «quella decisione» che nel tempo li ha tormentati come una «persecuzione». «A chi assomiglierebbe quel bambino? Sarebbe un uomo? Sarebbe una donna?», si domanda uno di loro, che confessa di immaginare spesso il suo figlio mai nato mentre compie «i primi passi» e «mentre dice “papà”». «Ma questi sono solo sogni – dice – e i sogni mi lasciano con il cuore spezzato». Eppure dalle interviste di Apology non emerge solo dolore, c’è anche la speranza che i tre uomini hanno trovato nella fede. E che affidano a «questa nuova generazione che dice: “Sapete cosa? Adesso basta”».
ARIA NUOVA. Lo stesso cardinale O’Malley, nell’omelia di ieri, ha sottolineato questo sorprendente cambiamento dell’opinione pubblica statunitense. È un fenomeno “generazionale” che il porporato attribuisce ai «giovani americani», che già oggi «rappresentano il segmento pro life più importante» del paese. Citando diversi studi e sondaggi, O’Malley ha messo in luce come ormai anche «la maggioranza di coloro che si definiscono pro choice» è a favore di una restrizione legislativa dell’aborto. Lo conferma ad esempio la rilevazione appena pubblicata dal Marist Institute, dalla quale emerge che addirittura l’84 per cento dei cittadini americani sarebbe favorevole a limitare l’applicabilità della pratica, e ben il 69 per cento degli intervistati che si definiscono “pro choice” direbbe sì a norme più restrittive. «Se l’aborto dipendesse dal voto piuttosto che dall’attivismo dei giudici, sarebbe enormemente ridotto», ha osservato O’Malley.
IL PAPA E LA COSCIENZA. Al contrario, però, i legislatori mirano ad aggravare la situazione. Infatti, ha aggiunto il cardinale, «nella nostra cultura una delle sfide maggiori per le persone di fede è l’erosione dei diritti di coscienza, lo spazio di cui noi come comunità cattolica abbiamo bisogno per portare avanti il nostro ministero e le nostre opere di misericordia senza violare la legge di Dio e la nostra coscienza». O’Malley poi ha ricordato le parole pronunciate da papa Francesco un paio di mesi fa davanti all’Associazione medici cattolici italiani: «Il pensiero dominante – aveva detto in quell’occasione il Pontefice – propone a volte una “falsa compassione”: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre». E allora ecco che «la fedeltà al Vangelo della vita e al rispetto di essa come dono di Dio, a volte richiede scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza».
MAI SCORAGGIARSI. A proposito di obiezione di coscienza, il sondaggio del Marist Institute mostra che anche su questo tema la maggioranza dei cittadini americani è d’accordo con la Chiesa: 57 per cento a favore della libertà per i medici di rifiutare l’aborto, 37 per cento contro. Però, ha ribadito il cardinale, per vincere la battaglia della vita non basta seguire i comandamenti di Dio, né chiedere che siano seguiti, occorre amare. Come dimostra l’episodio evangelico del giovane ricco, «scoraggiato perché quello che Cristo gli chiese era difficile» quanto «le sfide che dobbiamo affrontare». Ma se «lo scoraggiamento è il nostro più grande nemico», «Cristo ci guarda con amore e il suo amore può darci forza e unirci. Non c’è sacrificio più grande, non dobbiamo calcolarne il costo, ma perseverare con la piena sicurezza che prevarremo».
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Forse è arrivato il momento di riconoscere, di realizzare, la distanza che si è formata nella nostra società e cultura tra realtà e giustizia, tra verità e mondanità. Insomma, tra Cesare e Dio.
Se Cesare è sempre più Erode non ci rappresenta più, non lo rikconosciamo più.