Se in Italia c’è «mancanza di liquidità» ben vengano i capitali stranieri. Oltretutto siamo in «Europa» e qui «nemici» non ci sono. A parlare dei casi Telecom e Alitalia è Massimo Zanetti, presidente di Segafredo, italianissima multinazionale del caffè. Se per Zanetti, infatti, il «nostro modo di fare grande impresa», un modo «da sempre colluso al mondo delle grandi banche e della finanza», ha dimostrato tutta la sua inconsistenza, e lo Stato non ha più come un tempo il potere di intervenire per colmare la differenza di «competitività» che c’è tra noi e tutti gli altri Paesi, alle imprese e alle società non resta che un’unica soluzione: quella di «integrarsi». Sempre che il loro obiettivo sia quello di competere sui mercati globali e non accontentarsi di nicchie.
CAMBIA SE IL PRESIDENTE È FRANCESE O SPAGNOLO? È ciò che ha fatto, per esempio, un’azienda come Loro Piana con Louis Vittuon, spiega a tempi.it Zanetti. «A me non interessa che il presidente si chiami Bernanrd Arnault e che sia un francese». È stata la scelta migliore per crescere e fare un salto altrimenti impossibile. Ugualmente «se Alitalia dovesse finire in mano ai francesi di Air France, francamente non vedo dove sia il problema. Siamo in Europa e i francesi non sono nemici, come non lo è la Spagna». «Anche io ho comprato aziende all’estero, come qui in Italia stranieri sono venuti a comprarne. Dov’è il problema?».
PURCHE’ NON SI GIOCHI CON LE BANCHE. A preoccupare Zanetti, più della cessione di Alitalia a Air France, è la trattativa tra Telefonica e Telecom. In particolare perché, da imprenditore, fatica a comprendere come possa «un’azienda che ha debiti per 28 miliardi di euro (Telecom) essere salvata da una che ne ha almeno 45» sulle spalle già di suo (Telefonica). Anzi, un’ipotesi con cui leggere questa operazione – che non stenta a definire come un «aborto» – Zanetti ce l’avrebbe eccome: «Forse, più della logica di mercato, ne stanno seguendo una di bilancio; ingigantire il debito fino a 60/70 miliardi per poi poter trattare con le banche». Ma in questo caso il condizionale è d’obbligo.
IL RUOLO DELLO STATO. Per il patron di Segafredo il vero problema di fondo non è l’italianità di Telecom, quanto piuttosto il fatto che, «se la società è di interesse pubblico» (perché le comunicazioni sono un prodotto diverso dagli alimentati o dalle calzature), «lo Stato dovrebbe intervenire ponendo almeno dei paletti, delle regole». Dovrebbe quantomeno «metterci un occhio».