Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Con il voto del Bundestag sul genocidio armeno, si è davvero incrinata la lunga alleanza fra turchi e tedeschi? È possibile, ma non probabile: fra i milioni di turchi che risiedono in Germania, sono ormai tanti quelli che ammettono apertamente le colpe dei loro antenati nella mattanza del 1915-16. Inoltre, molti sono di etnia curda: nipoti di coloro che collaborarono alle stragi, ma che hanno ufficialmente chiesto perdono agli armeni, come accadde anche a me durante uno straordinario incontro col capo della comunità curda in Italia.
Piuttosto, questo voto dei parlamentari tedeschi, praticamente all’unanimità, ricorda ai molti che – all’interno della Turchia, in condizioni difficilissime – si battono per la verità storica e per i diritti civili, che l’Europa non è solo commercio, moneta, economia; essa è ancora in grado di combattere per riaffermare una verità storica cancellata e derisa in decenni di oblio: Unione dei diritti, non solo dei mercati.
Il testo della mozione approvata lo dice con fermezza, chiamando in causa però anche l’Impero germanico, durante la prima guerra mondiale potente alleato di quello ottomano. Soldati, ufficiali, uomini d’affari, missionari tedeschi scrissero ai parenti, ai giornali, al governo centinaia di infuocate missive, denunciando l’inerzia della loro diplomazia e la vergogna per gli orrori a cui assistevano. Ma le lettere non venivano recapitate, e la linea ufficiale fu il silenzio: un silenzio imbarazzato, colpevole, solo raramente violato da pochi uomini di buona volontà, come l’ufficiale Armin Wegner, il pastore Johannes Lepsius, il dottor Martin Niepage ad Aleppo.
È bello che, oggi, sia proprio la Germania a darci una lezione di coraggio.
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