LE 3 ERRE. Ciò che però ci si dimentica di dire è che la direttiva che l’Unione Europea ha proposto agli Stati membri (e di cui la legge italiana discende) era figlia di un lungo dibattito innestatosi a Bruxelles, dove hanno partecipato tanto scienziati e ricercatori, quanto gli animalisti dell’Eurogroup for Animals. Il desiderio era quello di dare nuova forma a leggi e decreti vecchi di decenni in un campo dove ogni anno ci sono evoluzioni e novità: servivano garanzie migliori per il benessere degli animali, garantendo al tempo stesso la libertà per il lavoro in laboratorio. Le cosiddette “3R” (Ridurre, Rimpiazzare, Rifinire) sono nate in risposta a queste esigenze, delineando norme sì nette per la difesa delle specie, ma pur sempre eque anche per chi fa ricerca. Quando, però, il testo è passato al Parlamento italiano sono cominciati ritardi e complicazioni, e a mettere il bastone tra le ruote sono stati gli stessi animalisti.
IL DIBATTITO TRA GLI ANIMALISTI. Non serve essere degli investigatori per pescare su internet le dichiarazioni che la Brambilla stessa fece quest’estate, proprio quando venne approvata la legge delega italiana, per intenderci il testo che doveva accogliere pari pari la direttiva europea e che invece è stato inasprito dal dibattito politico, arrivando ad una forma contestata dagli scienziati perché ritenuto troppo limitativa. È lo stesso ex ministro berlusconiano del Turismo a dire di essersi opposta in ogni modo al recepimento di quel testo, poiché «non protegge affatto gli animali utilizzati per scopi scientifici». E non era stata l’unica ad esprimersi in maniera dura; prima di lei, occorre dirlo, c’erano state anche le esternazioni di vari gruppi animalisti, in rotta con le posizioni prese dall’Eurogroup for Animals: parlavano addirittura di tradimento e di accondiscendenza per una direttiva considerata «nefasta». Curioso notare che, ad esprimersi così duramente in Italia fu anche la Lav, che dell’Eurogroup for Animals fa parte.
LA SECONDA INFRAZIONE. Da qui sono arrivate poi le critiche alla direttiva europea culminate nella raccolta firme Stop Vivisection, volta proprio a chiedere a Bruxelles di rivedere le sue norme in tema di sperimentazione animale. Insomma, se c’è stato un ritardo in Italia nella ricezione di questo testo non è per le responsabilità della fatidica «lobby dei vivisettori», ma perché il fronte opposto è frammentato: prima ha partecipato alla stesura del testo europeo, poi, una volta arrivato in Italia, ha remato contro. Ciò che poi ci si dimentica di dire è che il dibattito che in questi mesi c’è stato in Italia e le modifiche che la legge ha ricevuto nella sua approvazione di quest’estate non avrebbero diritto di essere: la direttiva europea, infatti, non soltanto stabilisce i criteri che i Paesi europei devono seguire per regolamentare la vivisezione, ma aggiunge che questi non possono essere resi più aspri. Una seconda infrazione, oltre al ritardo, che dalla Commissione europea ci potrebbe essere contestato.