Articolo tratto dall’Osservatore romano – Sale la tensione in Venezuela. La corte suprema ha dichiarato ieri che il presidente Nicolás Maduro ha il diritto di convocare un’assemblea costituente senza che sia necessario indire prima un referendum popolare. La sentenza rischia di acuire il clima di scontro politico che ormai da mesi infiamma il paese in preda a una gravissima crisi economica e sociale. Secondo il testo della sentenza approvata dal tribunale supremo di giustizia di Caracas, considerato vicino al governo di Maduro, «non risulta necessario, né costituzionalmente obbligatorio, un referendum consultivo precedente alla convocazione di una assemblea nazionale costituente». Nonostante l’articolo 347 della costituzione venezuelana, secondo il quale è il popolo sovrano che deve convocare un’assemblea costituente, l’alta corte ha sottolineato che Maduro, in quanto presidente democraticamente eletto «esercita indirettamente, in quanto suo rappresentante, la sovranità popolare».
Era stata proprio una decisione della corte suprema, che pochi mesi fa aveva cercato di esautorare il parlamento (in mano all’opposizione) annullando tutte le sue decisioni, a scatenare le proteste di piazza che vanno avanti ancora oggi. Ieri almeno cento persone sono rimaste ferite nei nuovi tafferugli tra manifestanti e polizia scoppiati a Caracas. Come riferiscono i media locali, i sostenitori dell’opposizione hanno occupato un’autostrada nel centro della capitale venezuelana. Le violenze sono esplose dopo che la polizia ha usato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere la folla. Dall’inizio di aprile, sessanta persone sono state uccise e più di mille ferite nelle proteste contro il governo. I manifestanti e i partiti di opposizione chiedono elezioni immediate e riforme strutturali per far ripartire l’economia. Basti pensare che ieri il bolivar, la moneta venezuelana, è crollata, svalutandosi del 64 per cento, dopo che il governo ha autorizzato un’asta in dollari a un tasso superiore a quello ufficiale per combattere il mercato nero.
Intanto, sempre ieri, il vertice dei ministri degli esteri dell’Organizzazione degli stati americani (Osa) sul Venezuela ha sospeso i suoi lavori per permettere alle delegazioni di «ottenere un consenso, al quale si è vicini su un progetto di dichiarazione sulla crisi a Caracas». Malgrado una serie di riunioni informali tenutesi a Washington negli ultimi giorni e le quasi cinque ore di sessione della riunione di consultazione dei ministri Osa di ieri, non si è ancora riuscito a trovare un accordo di compromesso fra due testi proposti dalle delegazioni. Questi due testi, presentati dalla Comunità dei Caraibi (Caricom), da una parte, e dal gruppo Perú, Canada, Stati Uniti, Messico e Panamá, dall’altra, chiedono ambedue al governo di Maduro di sospendere il processo di riforma costituzionale. L’Osa conta 35 membri: per approvare una dichiarazione sono necessari 23 voti. Il Venezuela, che un mese fa aveva annunciato il suo ritiro dall’organismo, ha comunque accreditato un delegato per l’incontro.