Ecco l’atteggiamento che dà fastidio a mia figlia: questo voler comprendere e ricomporre dopo che si è stati offesi e cacciati.
È lo stesso fastidio che prova la gioventù israeliana verso i padri che si sono lasciati deportare e uccidere quasi senza rivolta.
Anche loro avevano nell’animo più segreto il senso che tutto avvenisse per un terribile sbaglio, e questo senso impediva l’erompere della rivolta.
Chi di noi non ha sognato una volta in quei terribili anni di trovarsi fra quattro mura a tu per tu con Hitler – o chi per lui – per “spiegargli” da uomo a uomo quali erano i suoi “sbagli”? E non c’è, d’altra parte, nella mia generazione, gente più triste da incontrare di quei tedeschi che hanno cancellato la Germania dai loro cuori. Gente che non vuole più parlare e sentire parlare in tedesco, che odia i tedeschi come i nazisti odiavano gli ebrei, povera gente che per salvare l’“onore” ha buttato via l’anima. Dico “nella mia generazione” perché quel che in noi ha qualcosa di falso e cattivo nella generazione dei figli non ha più quel substrato di odio ricambiato e può essere un senso di fierezza nato dalla felicità.
Ma noi possiamo solo amare. Non per bontà, non per senso religioso, ma perché è l’unico modo di restare nella realtà.