Film strano, difficile da etichettare. Non è una commedia “balneare” e ridanciana, anche se in qualche momento, soprattutto quando entra in campo Gigi Proietti, si sorride. Non è un dramma in senso stretto: eppure sono parecchi i personaggi a vivere delle vicende dolorose più o meno gravi. C’è chi, letteralmente, si perde nel mare; c’è chi muore; c’è chi è abbandonato e c’è chi soffre. C’è chi è malato e chi vive una crisi di coppia. Film bizzarro e un po’ triste, diretto dall’esordiente Matteo Cerami che dirige il padre Vincenzo, sceneggiatore di lungo corso del cinema italiano, assieme a un folto cast di attori capaci, tra cui spiccano, oltre al già citato Proietti, l’ottimo Marco Giallini, nei panni del padrone di casa, o di casotto, visto che il film si ispira proprio a Casotto di Sergio Citti. L’ispirazione però si ferma all’idea che aveva animato il film dello sceneggiatore prediletto da Pasolini: quella di raccontare un’Italia popolare, anche povera, proletaria, per usare un termine pasoliniano.
Raccontare un mondo visto dal basso, senza apparentemente una trama forte a legare vicende diverse e umanità differenti. Spogliare le maschere e gli attori nel casotto e vedere cosa c’era dietro e dentro. Cerami padre torna sul luogo del delitto (è proprio un suo racconto all’origine del film di Citti), ma l’obiettivo si allarga: dal casotto al chiosco fino ad arrivare a un pezzettino di spiaggia. L’operazione è interessante: raccontare, a partire dall’idea di un film vecchio più di trent’anni, senza la preoccupazione di rimanere troppo aderenti al film originario, l’Italia di oggi e le sue contraddizioni, cercando di entrare nella vita dei tanti personaggi che si sfiorano senza incontrarsi quasi mai. Sfuggente come quella varia umanità che lo popola, Tutti al mare vive delle performance notevoli di un gruppo di attori affiatati: non solo Giallini e Proietti funzionano, soprattutto in coppia, ma anche Anna Bonaiuto, Francesco Montanari e Libero De Rienzo. Il film soffre di molti momenti di stanca per una debolezza di sceneggiatura che tende più a rendere riconoscibili i vari omaggi a Pasolini e Citti (del primo si riprende una battuta splendida dal corto Che cosa sono le nuvole?), che a seguire con la stessa cura tutti i personaggi. Se infatti è ben centrato il personaggio di Maurizio, spettatore partecipe e malinconico alle vicende anche surreali che gli si presentano sul litorale, parecchi altri personaggi (la coppia Angiolini-Zanella; lo stesso bagnante impersonato da Cerami) non hanno la stessa profondità e si riducono ad essere delle macchiette bizzarre e sofferenti, ma pur sempre macchiette.
Così come alcune gag, se possono essere chiamate così quelle con protagoniste le forze dell’ordine nel film, sono efficaci ma perdono forza a causa dell’eccessiva ripetizione. Pur in mezzo a tanti difetti – di regia e di sceneggiatura – in primis un finale sin troppo didascalico, Tutti al mare cerca di essere e di dire qualcosa di nuovo. Cerca di esserlo attraverso una struttura narrativa libera, non ancorata ai soliti tipi fissi da commedia all’italiana fuori tempo massimo, e attraverso una libera ripresa degli elementi della tradizione (tanto Pasolini e Citti, ma anche tanto Cerami). E cerca pure di dire qualcosa di nuovo, andando oltre la maschera comica e tragica, con l’obiettivo di entrare nel cuore dei personaggi, di rivelarne forse gli intimi bisogni o i limiti o le paure e di restituire un po’ di umanità e di carne a delle figure vive e in cerca confusamente sempre di qualcosa. Vive anche se smarrite su un litorale che non ha indicata una strada certa e che non si affaccia nemmeno a uno dei mari più splendenti.