«Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, dopo aver ascoltato i diversi orientamenti espressi dai componenti del Consiglio di Presidenza, ha dato incarico all’Avvocatura dello Stato di rappresentare il Senato della Repubblica quale parte civile nel processo sulla cosiddetta “compravendita di senatori” che inizierà il prossimo 11 febbraio presso il Tribunale di Napoli.
Il Presidente ha ritenuto che l’identificazione, prima da parte del Pubblico Ministero poi del Giudice, del Senato della Repubblica italiana quale “persona offesa” di fatti asseritamente avvenuti all’interno del Senato, e comunque relativi alla dignità dell’Istituzione, ponga un ineludibile dovere morale di partecipazione all’accertamento della verità, in base alle regole processuali e seguendo il naturale andamento del dibattimento».
Con questa nota diffusa ieri sera la seconda carica dello Stato ha comunicato la decisione di costituire il Senato parte civile nel procedimento giudiziario in cui Silvio Berlusconi è imputato per avere, secondo l’accusa, corrotto l’allora parlamentare Sergio De Gregorio allo scopo di convincerlo a passare dalla maggioranza all’opposizione e determinare così la caduta del governo Prodi nel 2008. Grasso ha scelto di schierare nel processo l’istituzione che rappresenta nonostante il parere opposto del Consiglio di presidenza, che sempre ieri, e dietro richiesta dello stesso Grasso, si è espresso con 10 voti a 8 contro questa ipotesi.
Come sottolinea Linda Lanzillotta, eletta con Scelta civica e vicepresidente del Senato, il cui “no” ieri in Consiglio è stato determinante proprio come nel caso della scelta dello scrutinio palese per il voto sulla decadenza dello stesso Berlusconi, «non ci sono precedenti di costituzione del Senato come parte civile in circostanze analoghe». Si tratta perciò con tutta evidenza di una decisione squisitamente politica. E il tentativo di Grasso di giustificarla con l’«ineludibile dovere morale di partecipazione all’accertamento della verità» non fa che confermarlo, a meno di non voler sostenere che la politica possa mai prescindere dal “dovere morale”.
Ma se un organo politico e istituzionale come Senato ha, secondo Grasso, il “dovere morale” di accertare la verità, un dovere tanto “ineludibile” da spingerlo a schierarsi addirittura con una “parte” nel processo, non avrebbe il dovere altrettanto ineludibile di attendere prima una conferma della credibilità delle accuse rivolte a Berlusconi dalla procura di Napoli? Dando retta al Consiglio di presidenza da lui stesso interpellato, Grasso infatti non avrebbe impedito in alcun modo lo svolgersi del procedimento, ma sicuramente avrebbe evitato di accreditare istituzionalmente una indagine che – per lo meno in attesa di un qualunque verdetto – ha di per sé diversi elementi, diciamo così, discutibili. A partire dal magistrato a cui la stessa fa capo, Henry John Woodcock.
Con tutto il rispetto dovuto a una toga che si presume svolgere il proprio lavoro in buona fede, è appena il caso di ricordare che Woodcock si è reso famoso in questo paese per alcune delle inchieste più rumorose eppure più inconcludenti degli ultimi anni: dal “Vipgate” al “Savoiagate”, da “Vallettopoli” alla cosiddetta “P4”, solo per elencarne alcune (e senza ricordare tutte le persone che di quei flop giudiziari hanno fatto le spese, pagandole perfino con ingiuste carcerazioni preventive). È proprio sicuro l’ex magistrato Pietro Grasso che sia un “dovere morale” partecipare a un processo istruito da costui? Un processo per di più molto probabilmente destinato alla prescrizione, che dovrebbe scattare nel 2015?