L’articolo più interessante apparso oggi sui giornali l’ha scritto Pietro Saccò su Avvenire (Il flop del Giappone lezione per l’Europa che non fa figli). «Immaginiamo che la Germania smetta di fare la Germania. Che nella zona euro, cioè, i “falchi del rigore” si arrendano e accettino di somministrare all’Unione monetaria le cure anticrisi che in questi anni hanno sempre osteggiato». Immaginiamo, scrive Saccò, che come d’incanto, si faccia spesa pubblica, si sfori il limite del 3 per cento, la Bce stampi moneta. Potrebbe funzionare? Forse sì, ma l’esempio del Giappone dovrebbe convincerci ad un supplemento di riflessione.
ABECONOMICS. Il Giappone, infatti, «spende soldi pubblici, stampa yen e prova anche a fare le riforme, ma alla fine è sempre più in crisi. Se in Europa Mario Draghi si è limitato a promettere che la Banca centrale europea è pronta a «qualsiasi cosa serva» per salvare l’euro, in Giappone il primo ministro Shinzo Abe e il governatore della Banca centrale Haruhiko Kuroda hanno già fatto di tutto per riportare la crescita in un’economia che ha messo in pausa il Pil ormai venticinque anni fa, quando lo scoppio della baburu keiki, la bolla speculativa nipponica, ha annientato la propensione all’investimento delle imprese e la voglia di consumi delle famiglie».
E IL RISULTATO? Eppure Abe le ha provate tutte: ha aumentato la spesa pubblica riversando una «montagna di soldi» per far ripartire il paese dopo lo tsunami del 2011. Ha dato le chiavi della politica in monetaria in mano a Kuroda con «l’obiettivo alzare l’inflazione al 2%» e «raddoppiare la base monetaria – la quantità di denaro in circolazione e nei depositi delle banche – in meno di due anni». La Banca del Giappone «stampa yen a ritmi forsennati per comprare, ogni anno, 50 mila miliardi di yen di titoli di Stato nipponici». Ha promesso liberalizzazioni in tutti i campi, non riuscendo, però, a mantenere fede alle sue promesse.
Risultato? «Il Giappone è appena tornato in recessione». Il Pil non cresce, mentre il debito pubblico è arrivato al «227% del Pil».
PERCHE’ NON SPENDONO? Ma allora, cos’è che non funziona? Perché i giapponesi non sono tornati a spendere? Perché la “domanda interna” non riparte? Saccò la spiega così: «Càpita, nei paesi che invecchiano, e infatti il Giappone è tra i paesi più vecchi del pianeta. Ha una popolazione con un’età mediana di 44,6 anni, seconda per anzianità mondiale solo al principato di Monaco, e un tasso di natalità di 8,07 bambini ogni mille persone (qui lo superano solo Monaco e la sperduta Saint Pierre e Miquelon). Solo nel 2013 il paese ha perso 244mila abitanti. Il piano di Abe, ha scritto William White, ex consigliere della Banca dei Regolamenti Internazionali, sul Financial Times non è coraggioso, ma pazzo. E questo, prima di tutto, perché “la recente bassa crescita del Giappone è largamente guidata da fattori demografici”».
I PIU’ ANZIANI. Anche se si gettassero soldi dagli elicotteri, scrive il giornalista di Avvenire citando Milton Friedman, le banconote cadrebbero sulle teste e nelle mani di un popolo di anziani. «L’economia di un paese senza figli e senza giovani non può che trascinarsi stanca verso la quiete della pensione. È questa la brutta lezione che Tokyo sta dando al mondo, e ci converrà studiarla bene mentre in Europa aspettiamo più o meno fiduciosi i miliardi del piano di Juncker e gli acquisti di titoli di Stato promessi da Draghi. Nella classifica dei paesi più anziani del mondo per età mediana, dietro Principato di Monaco e Giappone c’è la Germania, cuore economico della zona euro. Al quarto posto c’è la vecchia Italia».