Tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Sono molto felice che gli amici di Alleanza popolare, in primis l’eroico amico fraterno sottosegretario Gabriele Toccafondi (non sto scherzando sull’eroico), siano felici di avere ottenuto il riconoscimento non solo giuridico ma pratico della parità scolastica tra scuole pubbliche statali e libere.
Ma come insegnava Hegel nella sua Logica, la quantità determina la qualità. Per cui dare una mancia è diverso dal fare giustizia o almeno avvicinarsi a essa. Paradossalmente è peggio che zero. Perché dare 76 euro all’anno è simbolico, ma a me pare soprattutto una violenza simbolica. Come tutte le prese in giro. Certo, si è inaugurato un principio. E in passato il centrodestra al governo non ha combinato molto. In Lombardia però si fecero (e ancor oggi ci si prova) cose magnifiche. Oggi costruendo il mito di Renzi, elogiandolo per le briciole, si contribuisce a una fase in cui quest’uomo solo al comando stenderà il manto del suo potere onnicomprensivo. Sono sicuro che Toccafondi si batterà al meglio, e la sua presenza è una garanzia per chi ama la libertà di educazione come valore politico assoluto, persino più della libertà economica, poiché coincide con la libertà tout court.
Questa della libertà di educazione, come insiste sempre Luigi Amicone, è una grande base programmatica per un impegno pre-politico e politico per chi abbia a cuore l’Italia. Oggi – per quanto ci si sbracci – in Italia la politica ha scarsissimo potere in economia e nel posizionamento internazionale. La democrazia – vedi il caso Grecia – non ha la forza per modificare gli assetti del mondo in cui si è implicati. La politica ha per fortuna uno spazio che appare minimo rispetto alle questioni in bilico di euro e di guerra dell’Isis, ma è essenziale: consentire alla società di auto-organizzarsi, sostenendola, in campo educativo. O comunque lasciando campo anche nella scuola statale all’autonomia vera dei soggetti che abbiano la forza di proporre un percorso educativo.
C’è un altro ambito dove un governo potrebbe intervenire con efficacia senza essere afferrato alla gola dal contesto di potere europeo e mondiale: la giustizia. Libera educazione. E una giustizia insieme severa e mite, capace di sanzione e compassione. Oggi peraltro sappiamo di più di come si vive nelle carceri che nelle scuole. Si sa che nelle prigioni manca rieducazione e lavoro, le celle sono senza acqua calda e sovraffollate, e vi vengono spesso rinchiusi innocenti in attesa di giudizio. Ogni detenuto tende a scrivere un libro sulla sua prigionia, di che cosa ha imparato dai compagni di galera. Ed è giusto e utile. Delle scuole sappiamo che sono spesso pericolose per i soffitti che cascano, sono percorse da bande di bulli, nei bagni si fa sesso sotto l’occhio dei telefonini, poi sappiamo che gli insegnanti mancano, sono poco pagati e in 150 mila premono per essere assunti dopo tanti anni di precariato. Ma della vita quotidiana, di che cosa imparano, a che cosa sono educati i ragazzi: questo è un mistero. Escono le graduatorie sul livello di apprendimento della matematica e dell’italiano. Ma che uomini e donne si diventa, pare non interessi.
Ma se si potesse porre una domanda agli italiani del tipo: voi dove mandereste a scuola i vostri figli? Da chi vi dimostra che i muri sono puliti, si insegna bene l’uso del computer e l’inglese ha l’accento di Oxford; o da chi vi testimonia credibilmente che la prima cosa è quel bimbo o ragazza che ha un nome e una faccia, a cui comunicare un senso della vita, con cui dare insieme il nome alle cose, e certo i muri e i computer e l’inglese servono, eccome, ma dentro una cura affettiva globale? Io son certo che vincerebbe la risposta numero 2. L’ha detto il Papa. Ai ragazzi bisogna dare la vita ogni giorno, insieme al computer. Se no anche i computer fanno male, come i soffitti che cadono in testa agli alunni.
Foto scuola da Shutterstock